Un inglese, un greco e uno spagnolo, non è l’incipit di una barzelletta, ma quello di una nuova pagina della politica europea. Stiamo parlando rispettivamente di, Jeremy Corbyn, Alexis Tsipras e Pablo Iglesias Turrión, rappresentanti, volenti o nolenti di una nuova sinistra europea.
Perché uniti e perché divisi
Parlare di “podemos” come del partito laburista sarebbe un errore imperdonabile, così come cercare di accomunare queste tre personalità politiche sotto un’unica e grande rossa bandiera. No, non ci sarà nessuna rivoluzione marxista se è questo che temete. O almeno non ne sono previste in un immediato futuro. Tuttavia, qualcosa in comune questi tre ce l’hanno.
Cerchiamo di fare un po’ d’ordine e presentiamoli divisi, quali sono, come singoli leader del proprio partito. Iniziamo con la new entry, Jeremy Corbyn.
Corbyn ha 66 anni e fino allo scorso 12 settembre, la sua, era una personalità poco conosciuta. Invece a vincere le elezioni come presidente del partito laburista è stato proprio lui e per di più, con un consenso del 59,5%. Ecco che la straordinarietà della sua persona dirompe e su tutti i giornali impazza la “Corbynmania“. Si parla sempre di più di lui e si conoscono e approfondiscono le sue posizioni. Per citarne alcune:
- è favorevole alla nazionalizzazione di ferrovie, energia elettrica e posta britanniche
- fortemente contrario alla guerra e all’impegno del Regno Unito in qualsiasi conflitto armato
- non nutre sentimenti anti-europeisti, anche se l’Europa di oggi non gli va a genio (è infatti contrario alla firma del TTIP)
- sostiene che una tassazione più elevata dei più ricchi ed una lotta all’evasione fiscale e alle agevolazioni per le grandi multinazionali, possano contribuire a ripianare il deficit.
Insomma, sembra essere lui l’uomo del momento.
Alexis Tsipras invece lo “conosciamo” già da tempo. Eravamo con lui nei momenti più salienti della sua rapida ascesa politica e stiamo aspettando i prossimi. Checché se ne dica Tsipras rimane un uomo politico carismatico che ha voluto rischiare il tutto per tutto negli ultimi mesi e del quale sentiremo ancora parlare. A ribadirlo, i greci, che lo hanno riconfermato primo ministro, con le elezioni anticipate dello scorso 20 settembre.
Ultimo ma non ultimo, Pablo Iglesias Turrión, 37 anni, leader del partito-rivelazione “podemos” che abbiamo visto conquistare Barcellona e Madrid alle amministrative e regionali di maggio 2015. La sua vittoria ha subito acceso gli animi e si è parlato di lui come di chi avrebbe portato alla fine del bipartitismo in Spagna. Quasi un messia, Iglesias. Tuttavia l’entusiasmo è durato il tempo di un’estate. La politica spagnola ha virato di nuovo, ma questa volta verso una nuova direzione, quella della secessione. Sì, perché a vincere le ultime regionali in Catalogna sono stati gli indipendentisti e con risultati che hanno dell’incredibile. Le ragioni di Pablo Iglesias rimangono, ma la sconfitta politica, brucia.
Sulla carta i tre sembrano avere poco in comune e l’essere leader di partiti di sinistra non è sufficiente. Ognuno è interessato a risolvere i problemi interni ai rispettivi paesi e tanta è la strada che si prospetta loro davanti. Tuttavia i punti di incontro ci sono. Nelle loro agende politiche per esempio, dove troviamo:
- lotta alla corruzione,
- lotta all’evasione fiscale
- ridistribuzione interna della ricchezza
In più, in tutti e tre i casi a sorprendere sono, il numero di consensi e l’entusiasmo che si respira attorno alle loro idee politiche, in un clima generale di grandi aspettative. Perché in fondo sono e questo dobbiamo riconoscerlo, portavoce di un cambiamento.