Arrivederci Bel Paese. O forse addio. Questa è la decisione presa da oltre 4,6 milioni di italiani al gennaio del 2015. Secondo la Fondazione Migrantes gli italiani residenti all’estero aumenterebbe di anno in anno. Le ragioni principali sono le migliori condizioni di lavoro e la qualità di vita migliore che molti stati Europei e non sanno offrire.
Un popolo di migratori lo siamo sempre stato, ma negli ultimi anni, complice anche la crisi che ha investito il nostro Paese, questa tendenza sembra aver subito un ulteriore rialzo.
L’Italia è uno dei primi quattro paesi europei ad investire sulla formazione dei propri giovani, il problema principale è che non si ottengono guadagni da questo investimento in quanto i cosiddetti “cervelli in fuga” offrono la propria conoscenza a paesi esteri a spese dell’Italia.
A pesare ulteriormente su questa situazione è il fatto che pochi scelgono l’Italia come meta, rendendo il nostro Paese un esportatore di talenti.
Ecco quindi la ricetta del fenomeno conosciuto come “brain drain”.
Le cause di questo fenomeno sono legate principalmente alla mancanza di lavoro e alla maniera in cui viene gestito: La meritocrazia praticamente inesistente, una burocrazia spesso troppo contorta e da un avanzamento di carriera quasi impossibile.
Ma il problema ha delle radice ben più profonde: Come già detto l’Italia investe molto sulla formazione degli studenti, ma quando c’è da compiere il passo nel mondo del lavoro i giovani vengono lasciati soli a causa di mancanza di comunicazione tra l’ente dell’istruzione e impresa, condannando i giovani alla disoccupazione ( tasso di disoccupazione giovanile: 44,2%) o ad intricarsi in anni di praticantato non retribuito o tirocini gratuiti.
Chi parte non torna, dunque. Ma non sono solo i laureati o gli specializzati a partire, secondo il X° Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes l’identikit di chi se ne va parla di uomo, non sposato, tra 18 e 34 anni e solitamente proveniente dal meridione (anche se la tendenza sta crescendo in Lombardia e Veneto). Spesso ci si sposta verso zone dove si è stati in vacanza: Svizzera, Germania e Regno Unito su tutti. Poi si cerca di tirare avanti come si può. Secondo il direttore generale del Censis Giuseppe Roma
“Gli italiani meno qualificati all’estero lavorano più spesso in ristoranti e bar che in fabbrica o in cantiere”
Ma cosa ha fatto lo stato Italiano per fermare questa vera e propria fuga?
La “Legge Controesodo” approvata nel 2010 da Silvio Berlusconi ha prodotto timidi risultati promettendo il pagamento per tre anni dal rientro di tasse solo sul 30% dello stipendio per gli uomini e sul 20% per le donne.
Prima riapprovata e poi ritirata nell’ambito della nuova legge di stabilità da Matteo Renzi nel 2015, la legge ha provocato molte lamentele da parte dei lavoratori specializzati o laureati che avevano creduto nel progetto di un rientro in Italia.
Insomma, l’Italia incentiva i giovani in una buona formazione anche all’estero, ma non li accompagna nell’inserimento del mercato del lavoro interno, lasciando come unica alternativa l’allontanamento dal paese natale.