Non vi è alcun dubbio sul fatto che ogni campo abbia e debba avere un suo linguaggio specifico. Dall’architettura alla medicina, dalla fisica alla filosofia, dalla matematica alla giurisprudenza: ogni specialista di campo può parlare con maggior precisione e farsi capire dai rispettivi colleghi, utilizzando un vocabolario proprio di quel dato settore.
Tra esperti in un dato ambito, tanto più il linguaggio è specifico, tanto più è preciso ed efficace per trasmettere determinati concetti. Tuttavia, al tempo stesso, man mano che questa specificità aumenta in virtù di un rigore terminologico, tanto più i non esperti comprenderanno meno e saranno sempre più tagliati fuori da determinati discorsi e discussioni.
Evidentemente, quando si parla tra persone appartenenti ad una cerchia chiusa, questo non è un problema. Lo diventa invece, quando ci si apre all’esterno e si ha a che fare con i “non addetti ai lavori”. Quando due o più gruppi entrano in contatto, se vogliono riuscire a comunicare tra loro con successo, devono necessariamente abbandonare, per quanto possibile, il loro specifico campo linguistico, a favore di un campo condiviso nel quale tutti possano comprendere ed essere compresi da tutti.
Ignorare la possibilità di trovare un terreno comune su cui discutere, significa scegliere volontariamente di emarginare chiunque possa solo ascoltarci ma non comprenderci. Intuitivo è il caso delle lingue: in un gruppo di quattro persone, di cui tre italiani ed uno straniero, o lo straniero parla e comprende l’italiano, o se i tre ragazzi italiani parleranno nella loro lingua madre, “l’intruso” sarà automaticamente escluso dal gruppo, impossibilitato a comunicare con loro.
In questo caso, una lingua comune conosciuta da tutti e quattro i ragazzi (che sia l’inglese, lo spagnolo, il tedesco, il francese, ecc..), permetterebbe loro di comunicare liberamente, consentendo ai due “gruppi” di relazionarsi tra loro.
Esiste tuttavia un campo, che sebbene possa avere un suo linguaggio specifico, e possa pertanto in un certo senso essere considerato un gruppo “chiuso”, consiste in un operato che non riguarda mai un ristretto numero di persone, ma al contrario riguarda sempre tutti: la politica.
Il campo della politica è per definizione comune, giacché riguarda la vita pubblica, la gestione della vita in comune. Il suo operare non riguarda solo alcuni, ma riguarda indistintamente tutti, nessuno escluso. E sono proprio queste due ultime parole , “nessuno escluso”, a rappresentare l’ago di una bussola che non dovrebbe mai essere ignorata.
Nonostante questo, oggigiorno, la politica ed i suoi prodotti, utilizzano un linguaggio via via più elevato, complesso e sofisticato, introducendo sigle e neologismi che sempre più attingono dalle lingue straniere, distaccandosi dalla comprensione da parte di un popolo mediamente colto, rendendo di fatto impossibile la percezione a quest’ultimo di contenuti per lui sin troppo importanti.
Qualche mese fa, i media si sono invaghiti del neo coniato termine “grexit”, rapido ed intuitivo quasi per tutti. Numerose persone erano favorevoli a questo “grexit”, ma a patto di salvare la Grecia e lasciarla nell’Euro.
Fu per me una splendida esperienza l’ascoltare il discorso popolare tra due anziani, nel quale i due si interrogavano sul cosa fosse questo fantomatico “spread” tanto temuto da tutti. Un terzo signore, evidentemente più informato, si intromise per spiegare loro che si trattava del “suono onomatopeico per indicare una flatulenza intestinale”
Soprattutto tra i meno giovani, c’è chi non si indigna per la poco felice uscita della Fornero, rea di aver definito “choosy” i giovani d’oggi. Un’espressione il cui significato, per molti, rimanda maggiormente alla spensieratezza del termine “hippie”, piuttosto che alla negatività di chi è schizzinoso.
I più anziani, probabilmente, si interesserebbero maggiormente al piano di riforme del lavoro, che tanto riguarda i loro nipoti, piuttosto che al misterioso e poco comprensibile “jobs act” del quale a pochi importa. Chissà, forse le cose andrebbero meglio “se il governo si occupasse maggiormente di riforma del lavoro, e meno di jobs act”.
Il comico Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle, nei suoi numerosi interventi in giro per l’Italia, osserva ripetutamente come le leggi stesse, promulgate dal parlamento, siano spesso criptiche ed incomprensibili se non ad esperti giuristi. Eppure, quelle stesse leggi, devono in egual modo essere seguite dal giurista così come dal comune cittadino.
I parlamentari italiani, come più volte mostrato dalla trasmissione televisiva “Le Iene”, ignorano le cose di cui loro stessi discutono e sulle quali prendono decisioni, mostrando così un atteggiamento che in molti casi rasenta una paradossale demenza.
Quella demenza che viene evidenziata, non a caso, dal “comico buon senso” del personaggio interpretato da Claudio Bisio nel film “Benvenuto presidente”, nel quale l’attore interpreta un assurdo presidente della Repubblica che, non comprendendo le leggi che gli vengono sottoposte risponde: “non firmo!”
La politica è pubblica, riguarda tutti in modo diretto, e pertanto i suoi dibattiti ed i suoi prodotti, devono necessariamente essere accessibili a tutti. Nessuno dovrebbe essere messo nella condizione di non comprendere cose che lo riguardano in prima persona. Tutti, nessuno escluso, hanno il diritto di sapere, e soprattutto comprendere, le cose che riguardano la propria vita e quella dei propri figli.
L’italiano è una lingua incredibilmente ricca, capace al tempo stesso di semplicità, varietà e soprattutto chiarezza. Paroloni ricercati e poco chiari non sono insostituibili, così come non è necessario ricorrere a parole inventate o prese da lingue straniere.
L’italiano non è assolutamente una lingua inadeguata a parlare di politica. Ma forse è una certa forma di classe politica ad essere inadatta alla politica stessa, costretta pertanto a celare contenuti inadeguati per mezzo di quel prodigioso strumento che è la lingua italiana ,capace, a seconda degli intenti, tanto di dividere, quanto di creare uno strepitoso campo comune.
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