Tutti, o quasi, ricorderanno il governo guidato dall’allora premier Mario Monti, in carica dal 16 novembre 2010, al 28 aprile 2013. Espressioni come “governo tecnico” o “governo dei tecnici”, tornarono a far parte del vocabolario comune ed ebbero un periodo di ribalta. La parola “tecnocrazia”, intesa come la sostituta omicida della “democrazia”, divenne il ricorrente slogan populista di tutti coloro che volevano affascinare l’lettorato.
La politica, quella di chi la fa per mestiere, per poter sopravvivere, innalzò la pericolosa bandiera della democrazia, facendo di questa una lucente stella polare che potesse servire per tutti da punto di riferimento costante: il potere è del popolo, di tutti, non dei tecnici, di pochi.
Questo ha permesso ad una certa politica di sopravvivere; ma quando si accende una stella, difficilmente poi si riesce a celarne la luce o a controllarla. Quell’astro, tanto chiaro ed evidente nell’oscurità notturna, si è rapidamente trasformato nel luminoso sole che dà luce all’intera giornata. La politica è sì sopravvissuta, ma la gente ha ormai alzato la testa ed ha nuovamente rivisto il cielo. Il popolo ha recepito il messaggio: la politica è di tutti, non di pochi.
Molti cittadini si sono resi conto che la politica li riguarda direttamente, che è un qualcosa che riguarda le loro vite e quelle dei loro figli, che è un qualcosa sulla quale pertanto hanno diritto di parola e soprattutto di azione. La politica ha insegnato loro che la politica stessa non è dei tecnici, ma non ha saputo celare che un certo tipo di politico, non è altro se non un certo tipo di tecnico.
Le elezioni politiche del 2013, a mio avviso, hanno segnato un profondo cambiamento nella storia della politica italiana. Un astensionismo crescente, accompagnato dalla comparsa di nuovi parti non guidati dai soliti volti noti, e dal sorgere di movimenti, tra cui il Movimento 5 Stelle, hanno brutalmente mutilato l’elettorato dei partiti “classici”, portando ad uno stravolgimento del panorama politico, e soprattutto della concezione cittadina di politica.
Indistinguibile segno di una nuova coscienza, è lo strepitoso risultato conseguito proprio dal sopracitato Movimento 5 Stelle che, da solo, alla sua prima prova su scala nazionale, ha conseguito oltre il 25% dei voti alla camera, e quasi il 24% al senato. Nessun politico di professione, ma solo comuni cittadini che hanno riscoperto la pienezza dei loro diritti politici, facendo loro il diritto a decidere del proprio futuro.
La politica dei professionisti trema nel rendersi conto che il popolo ha scoperto di possedere diritti effettivi, che di fatto si contrappongono ad una visione privatistica della politica stessa. In questo contesto, c’è chi, dalla sua poltrona ormai ricca di radici, sottolinea come il governo della cosa pubblica, essendo una cosa dai meccanismi complessi, necessiti una preparazione ed una serie di competenze che un normale cittadino non può possedere, e che non si possono improvvisare.
In questa prospettiva, il discorso di buon senso della politica dei professionisti, sottolinea come in tutti i lavori siano basilari competenze e conoscenze previe, ed in un campo come quello politico, che riguarda la vita di tutti, questo discorso sia quanto mai valido: per dirigere lo stato servono persone esperte!
Curioso come in questo caso, la parola esperto divenga di fatto sinonimo di “tecnico”; una parola proibita da pronunciare se non come tremendo spauracchio. Ma soprattutto è curioso come il discorso dei politici di professione, consista proprio in quello che loro stessi non accettavano del governo dei tecnici. Un discorso che, come abbiamo visto, loro stessi hanno dovuto a suo tempo invalidare per poter sopravvivere.
Loro, un sistema più che di tecnici, di professionisti, ben sottolineano l’imprescindibilità di competenze per svolgere determinate mansioni, ma sembrano al tempo stesso ignorare la straordinaria capacità umana di fare esperienza, ovvero la capacità di imparare ed acquisire competenze, ignorando che non conoscere o non saper fare una cosa, non significa non conoscerla o non saperla fare mai.
La politica è un lavoro? Se si, di certo non lo è come un lavoro normale, dal momento che il suo fine non è di certo il profitto.
In che cosa ha fallito la politica classica? Esattamente in quello che lei stessa ha dovuto mettere in luce per non soccombere innanzi al governo dei tecnici: ignorare completamente la conoscenza della vita del cittadino comune; il tecnico, così come il politico di professione, si sgancia completamente dal campo dell’umano che dovrebbe tutelare e gestire, finendo per essere l’amministratore di una macchina piuttosto che di un sistema sociale.
Sebbene la figura del politico di mestiere porti con sé numerose esperienze, che il neofita non può possedere, tale esperienza è finalizzata al profitto, poiché a questo è finalizzato il lavoro. Conoscenze adeguate sono inutili se sfruttate per fini sbagliati.
Immaginate ora di entrare in pasticceria per comprare una torta di compleanno, e che il “pasticcere” vi serve un elegante, bellissimo e ben fatto pezzo di asfalto dalla realizzazione perfetta! Cosa servireste ai vostri invitati? Un invitante e tecnicamente perfetto pezzo di asfalto, o magari, una imperfetta e più grossolana torta casalinga? A ognuno la scelta del dolce!
Per saperne di più leggi anche questo primo, secondo e terzo articolo.