“Anche Peppino Impastato aveva parentele scomode”. Bastano poche parole dei rappresentanti del Partito Democratico di Moncalieri, ed ecco come uno dei simboli dell’anti mafia italiana viene associato a Mario Nesci, consigliere comunale del paesino vicino a Torino, nonché cugino di Nicola Nesci, condannato a 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. A differenza di Peppino, le intercettazioni rivelano come Mario avesse diverse conversazioni telefonico con il proprio “parente scomodo”.
“Peppino aveva veramente famigliari mafiosi, ma venne assassinato in un attentato mafioso nel maggio del 1978 proprio per aver preso le distanze da essi ed aver reso note le ingerenze della criminalità organizzata” puntualizza Giovanni Impastato, che attraverso l’associazione Centro Impastato ha preso in mano le redini della battaglia iniziata dal fratello.
“Quello che manca in Italia è prima di tutto il rispetto verso le figure che hanno rappresentato e rappresentano l’antimafia – prosegue il fratello del fondatore di Radio Aut, dalla quale Peppino denunciava le azioni mafiose in Sicilia – spesso personaggi importanti vengono isolati e lasciati soli nelle loro battaglie. Parlo ad esempio del pubblico ministero di Palermo Nino di Matteo, che dal 1999 indaga sulle stragi che uccisero Falcone e Borsellino”.
Il dibattito sulla lotta alla mafia rimane sempre acceso in Italia, ma si infiammò nell’aprile del 2014 quando venne approvata la travagliata riforma dell’articolo 416 ter, che sarebbe dovuta servire a combattere e punire più severamente lo scambio elettorale tra politici e mafiosi. In realtà quel cambiamento, pur prevedendo altre forme di scambio oltre quello pecuniario, ridusse le pene e rese più difficile dimostrare il reato.
“É passato più di un anno dalla riforma e ancora non si sono visti risultati, anzi gli scandali di corruzione sono tutti i giorni sotto i nostri occhi – continua Impastato – ed anche se qualche provvedimento utile esiste, come quello sulla gestione istituzionalizzata dei beni confiscati alla mafia, le leggi non sono sufficienti per estirpare questo virus”.
“La mafia è prima di tutto un problema culturale, ed è quindi dalla cultura che dobbiamo partire, insegnando che la mafia non è antistato, ma è all’interno dello stato, delle sue istituzioni e si nutre di appalti e soldi pubblici”.
“Dobbiamo ricordare che la mafia coinvolge tutti, va dalla Sicilia alla Lombardia – continua il fratello di Peppino.
“Bisogna educare i cittadini, in particolare i giovani, che sono i più esposti a messaggi negativi, ad avere fiducia nell’antimafia attraverso azioni positive come le cooperative di Libera Terra, che gestiscono i territori confiscati alla mafia.”.
Ultimo ma non meno importante, dobbiamo essere “disobbedienti – conclude Giovanni. “Dobbiamo pacificamente e democraticamente, sabotare l’illegalità”.