Sono milioni le persone che, ogni anno, sono costrette ad abbandonare le loro case, a seguito di disastri ambientali e le prospettive per il futuro non sono incoraggianti. Lo scenario di “the day after tomorrow”, il film catastrofico hollywoodiano sulla fine del mondo, non è mai stato così verosimile. I cambiamenti climatici hanno causato danni tangibili ovunque ed indistintamente.
I numeri di cui dovremmo preoccuparci
- Secondo l’ultimo rapporto del’ IDMC (the International Displacement Monitoring Centre) sono 22 milioni, le persone che, nel 2013, sono state costrette a lasciare tutto a causa di disastri
- un essere umano su due è a rischio migrazione per le stesse ragioni
- entro il 2050 si prevedono 250 milioni di rifugiati climatici in tutto il mondo
- il CRED (the Centre for Research on the Epidemiology of Disasters), stima che il numero di disastri avvenuti negli ultimi 10 anni sia pari a 3583.
Rifugiati ecologici e diritto internazionale
Nonostante la situazione sia allarmante, non esiste ancora, ad oggi, una protezione giuridica specifica nei confronti di questi rifugiati. Le iniziative ci sono e tante, ma rimangono insufficienti ad affrontare un problema di questa portata. Le persone colpite da catastrofi naturali sono costrette ad abbandonare tutto ciò che possiedono, sia che lo facciano all’interno dei rispettivi paesi, sia che lo facciano all’esterno, spostandosi verso altri. In entrambi i casi, gli strumenti atti alla loro protezione, sono pari a 0.
Il primo grande ostacolo, rimane la natura stessa del diritto internazionale che si fonda sul principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato e sulla sovranità degli stessi. Allo stesso modo, si rilevano forti limiti nel moderno diritto umanitario e nel diritto internazionale dell’ambiente.Nel diritto umanitario: sia varie ONG che una parte della dottrina, hanno cercato di ovviare alle lacune del diritto internazionale rivendicando un diritto di ingerenza umanitaria. Alcune risoluzioni sono state adottate in questo senso, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, tali risoluzioni, hanno solo facilitato l’accesso ai primi soccorsi umanitari. Peraltro si tratta di provvedimenti di soft-law, che non producono obblighi per gli Stati.
Il diritto internazionale dell’ambiente: se pur vasto, non ha sviluppato un’ indennità diretta nei confronti dei rifugiati ecologici ed è riuscito solo ad imporre la collaborazione tra Stati in caso di incidenti nucleari.La cosa più significativa che è stata fatta in materia, la si è ottenuta grazie alla Corte d’Appello di Limoges nel 2005, nella quale sono state avanzate le prime caratteristiche del “rifugiato ecologico”.
Siamo tutti i potenziali rifugiati climatici di domani. Perché le calamità naturali non guardano in faccia a nessuno. E’ giunto il momento di introdurre a tutti gli effetti la figura del “rifugiato ecologico” come soggetto di diritto e pretendere da ogni singolo Stato azioni concrete, in materia di lotta al cambiamento climatico. Il prossimo vertice sul clima è previsto per dicembre 2015. Staremo a vedere.