“Romanzo criminale”, “i re di Roma”, “Mondo di Mezzo”, la retorica sull’argomento si spreca, ma cos’è accaduto in Mafia Capitale?
Il terremoto che ha sconvolto Roma, ponendo le basi per le dimissioni dell’ormai ex sindaco Ignazio Marino, che proprio oggi ufficializza la sua dipartita con una lettera al presidente dell’assemblea capitolina Valeria Baglio, inizia nel 2011, quando Roberto Grilli, skipper di 51 anni, viene fermato ad Alghero con 503 chili di cocaina sulla sua barca a vela. Grilli comincia a raccontare il “sistema Carminati” e l’organigramma del potere criminale romano.
Partendo da quelle dichiarazioni, la procura scoperchia il vaso di Pandora dei mille traffici illeciti di Carminati e soci, dal business sui rifiuti fino a quello dell’accoglienza dei migranti, dal gioco d’azzardo agli appalti, tutto gestito tramite un comitato permanente istituito dal clan, che aveva agganci bipartisan nelle istituzioni.
Successivamente, il maxi bliz del primo dicembre 2014 permette l’arresto di quello che è considerato il vertice della criminalità organizzata della capitale, Massimo Carminati, ex appartenente al Nucleo armato rivoluzionario e con presunti legami con la Banda della Magliana, e con lui molti ex amministratori locali, manager di municipalizzate e imprenditori.
Gli indagati sono un centinaio, tra i quali l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, l’assessore alla casa della giunta Marino, Daniele Ozzimo e il presidente dell’assemblea capitolina Mirco Coratti, entrambi del Pd, che si sono dimessi pur dichiarandosi “estranei”.
Insieme a Carminati, sono finiti in manette anche tutti gli appartenenti alla “cupola nera” che faceva capo al “re di Roma” come Riccardo Brugia, secondo alla testa dell’organizzazione, il manager Fabrizio Franco Testa, il presidente della cooperativa 29 Giugno, Salvatore Buzzi e Nadia Cerrito, la donna a cui l’organizzazione aveva affidato la gestione del “libro nero”, una sorta di contabilità del sistema di tangenti con cui il clan mungeva la macchina amministrativa della Capitale.
Le indagini hanno investito in pieno Campidoglio, con diversi indagati all’interno della giunta Marino, tanto che in molti sostennero l’esigenza delle dimissioni del primo cittadino romano, che fin dall’inizio dichiarò la sua completa esternità agli scandali e collaborò con le forze dell’ordine.
Lo stesso PD, partito del sindaco della capitale, si spaccò sulle dimissioni di Marino. La minoranza chiedeva un suo passo indietro, ma alla fine prevalse la linea di Matteo Renzi che sostenne “paghi chi ha sbagliato”.
Matteo Orfini, segretario del Partito Democratico parlò di battaglia interna: “Il nostro partito è stato commissariato, abbiamo avuto la responsabilità di non esserci accorti che la battaglia interna al partito ci allontanava dai problemi romani”.
“In più di un’occasione Buzzi e i suoi sodali hanno parlato di Ignazio Marino come di un nemico, auspicando addirittura che i loro amici lo facessero cadere- continuava Orfini – Non stupisce più di tanto, quindi, che quotidianamente le destre protagoniste della vergognosa gestione Alemanno alimentino una indegna gazzarra contro Marino per nascondere le proprie immense responsabilità”.
L’ormai ex sindaco sopravvisse a quello scandalo, ma la sua autorità ne uscì gravemente compromessa. I suoi colleghi di partito non erano gli unici a chiedere le sue dimissioni: i rappresentanti di Ncd, FdI, Casapound e comitati Noi con Salvini organizzarono una protesta in campidoglio, mentre Alessandro di Battista, parlamentare pentastellato, dalla piazza della manifestazione dichiarò: “Prima che questo Comune venga sciolto per mafia mettendo la Capitale in una situazione drammatica meglio che Marino si dimetta e lasci la parola ai cittadini”.
Ora Ignazio Marino ha fatto il passo indietro che in molti chiedevano. Quello che succederà ora nella capitale d’Italia è una partita ancora tutta da giocare.