In un periodo di crisi economica, alcune fazioni politiche richiedono a gran voce la chiusura delle frontiere -e abbiamo già davanti a noi esempi di tutto questo- e il risparmio delle risorse disponibili per destinarle a chi ne ha più diritto: non i bisognosi che fuggono dagli scenari di guerra circostanti, ma i diretti cittadini del Paese, come se appartenere ad una certa nazione sia una questione ontologica e non dovuta al caso.
È questa la condotta politica principale del partito della Lega Nord. Nata nel 1989 per tentare di attuare un processo di indipendenza del Nord Italia dal Meridione, ritenuto troppo arretrato a livello economico e industriale -poi trasformato in un progetto di federalismo fiscale- ora la Lega vuole raggiungere un consenso unanime sul territorio nazionale e punta al sistema del metus hostilis: l’intera Nazione italiana compatta e coesa contro il nemico comune, l’immigrato.
L’immigrazione: un punto di vista italiano
La figura dell’immigrato, ribattezzata senza alcun distinguo dalla stampa ora come migrante e rifugiato, ora come clandestino e irregolare, riempie le prime pagine dei quotidiani del nostro Paese, adesso come non mai impegnato nel contenimento delle ondate di arrivi dal Mediterraneo di persone che ricercano condizioni di vita stabili e dignitose, lontane dai bombardamenti e dalle devastazioni della propria terra, di cui anche l’Occidente è responsabile non secondario.
Ciononostante, la figura dello straniero è sempre stata fonte di diversità e dunque un elemento di potenziale pericolo per i valori costituenti una determinata società. In effetti, i Paesi più soggetti all’arrivo dei migranti -Spagna, Italia, Grecia- non sono stati aiutati per anni da quelle nazioni che, per quanto appartenenti all’Unione Europea, non sono state investite da tale fenomeno; ciò ha generato un senso di allontanamento dai nostri partner politici, la cui responsabilità è stata imputata interamente agli individui deboli, incapaci di difendersi.
Quello che però la stampa odierna non riporta è il ruolo che i migranti ricoprono nella società. Una volta giunti su suolo italiano, costoro si ritrovano imprigionati nel limbo della burocrazia; in attesa del rilascio o del diniego del permesso di soggiorno, attesa che può durare anche anni, essi divengono invisibili, e per poter sopravvivere si ritrovano a dover svolgere lavori estremamente duri, degradanti per il fisico e per la dignità umana, senza alcuna protezione sociale. È di non molto tempo fa la notizia di alcuni migranti deceduti nei campi di raccolta dei pomodori, sotto il sole del Sud; la politica e gli organi di informazione ad essa correlati non hanno però risaltato la gravità della situazione, preoccupandosi invece di diffondere l’odio razziale in un clima di isteria collettiva.
Problemi e soluzioni
Al contrario di tutto ciò, però, i migranti sono la nuova forza lavoro su cui l’Italia e l’Europa concentrerà la maggior parte delle proprie risorse in futuro. Per poter salvaguardare il sistema capitalistico attuale, e nella fattispecie quello pensionistico, i migranti sono non il problema, bensì la sua soluzione. Secondo il quotidiano la Repubblica che riporta fonti Ocse, essi occupano attualmente le posizioni lavorative che in Occidente ormai vengono trascurate, e che però al tempo stesso producono ricchezza per lo Stato; inoltre, essi costituiscono un freno al calo delle natalità che ormai sta investendo da decenni il Vecchio Continente.
Il contributo degli immigrati all’economia è superiore a quanto essi ricevono a titolo di prestazioni sociali o di spesa pubblica.
Jean-Cristophe Dumont, funzionario OCSE
Il progetto di Salvini e compagni crolla dunque di fronte alla prova schiacciante della sua inattendibilità, ma al tempo stesso conferma il livello di ipocrisia presente su suolo europeo: quando Angela Merkel decide di accogliere i migranti in fuga dalla Siria, lo fa per salvaguardare e rimpolpare la propria economia, a fronte di anni di silenzio e disinteresse nei confronti di fenomeni di cui adesso l’Europa, nonostante l’evidente controsenso, deve farsi carico, cercando di migliorare le condizioni di tutti senza che ciò comporti un abbassamento del livello della qualità della vita e così, anche se parzialmente, ridurre il carico di colpe di cui è in parte responsabile.