Oggi più che mai, in tempi di crisi, si parla di Europa e sul cosa questa parola significhi per i cittadini che vivono all’interno dei suoi confini.
È una parola apparentemente semplice ma che nel suo profondo cela una molteplicità di sfumature complesse, sullo sfondo di un processo storico estremamente ricco ed articolato.
Oggigiorno tuttavia, questa parola vive la straordinaria contraddittorietà di un’Europa che non è mai stata tanto unita e al tempo stesso tanto divisa. Il dibattito pubblico è acceso e si divide tra favorevoli e contrari alla visione di un’Europa da considerarsi in senso forte e soprattutto unita.
I concetti di Unione Europea e di Euro sono la prova lampante di un’unità che non si è mai raggiunta prima d’ora, ma al tempo stesso sono le molle che spingono verso la disgregazione di questa unità tanto faticosamente conquistata.
Sono sempre più forti le voci che rivendicano per i singoli paesi membri una richiesta di identità nazionale forte, che si traduca nell’autonomia di una reciproca ed assoluta indipendenza gli uni dagli altri.
Se dal punto di vista geografico si è pressoché concordi nel parlare di Europa unita, delineata dai confini fisici che definiscono il continente con rispetto al resto del mondo, altrettanto non avviene dal punto di vista economico e politico.
Voci populiste si odono con forza in tutto il territorio europeo, e nutrendosi delle paure e delle incertezze generate da una crisi che va ben oltre il campo economico, alimentano e si alimentano di traviati sentimenti di identità nazionale, che altro non fanno se non indicare nell’Europa intera il nemico da combattere in quanto causa di tutti i mali che colpiscono la popolazione.
Per tentare di comprendere la situazione nella quale ci troviamo è bene riflettere criticamente su queste questioni, e domandarsi se realmente questo sentimento di chiusura verso l’interno, possa essere per i singoli stati e per i suoi cittadini un’effettiva e valida soluzione alla crisi che stanno vivendo, o se piuttosto il ritorno ad entità nazionali isolate non sia che il primo passo verso un baratro buio e senza fondo.
Che l’Europa di oggi, così concepita e strutturata, non funzioni, è un dato di fatto. Sarebbe infatti assurdo pensare che l’insofferenza generale verso questo grande organismo sia completamente infondata. Quello su cui tuttavia si può e si deve discutere sono le conclusioni a cui conduce questo genere di considerazioni, sul se un abbandono dell’unità in favore della particolarità dei singoli stati possa davvero essere la cosa più giusta
A mio avviso è infatti bene guardare all’Europa odierna come ad un bambino che, malato, non sta bene. Quando un bambino si comporta male poiché ineducato, non lo si sopprime; lo si educa! Quando un bambino è malato, non lo si sopprime; lo si cura! Così è bene educare e curare l’Europa odierna, malata di una unità solo monetaria, troppo burocratica e poco politica, ed educarla ad un senso di appartenenza forte che attecchisce nel profondo di radici culturali comuni.
La posizione euroscettica (o peggio ancora antieuropeista) secondo cui l’Europa unita nega l’individualità e l’identità dei singoli membri, inglobandoli all’interno di un tutt’uno indifferenziato, è assolutamente errata!
A tale proposito sono emblematiche le parole del pensatore spagnolo José Ortega y Gasset e della bellissima immagine che scaturisce dalla sua metafora:
L’unità dell’Europa non è una fantasia, ma è la realtà stessa, e la fantasia è precisamente l’altra: la credenza che Francia, Germania, Italia o Spagna siano realtà sostantive e indipendenti […] perché Europa non è una “cosa” ma un equilibrio […] che consiste essenzialmente nell’esistenza di una pluralità. Se questa pluralità si perde, quell’unità svanisce. Europa è in effetti uno sciame, molte api e un solo volo.
Unità e pluralità non si escludono vicendevolmente, ma anzi al contrario si completano e sorreggono, dandosi reciproco fondamento sullo sfondo di una base, culturale e di valori, comune.
In un momento di forte crisi economica, in un mondo globalizzato in cui emergono con forza nuove potenze economiche non occidentali, i singoli stati europei non possono nulla contro questi nuovi giganti (Cina, India, ecc..) e sono pertanto destinati a soccombere. Solo un’Europa che sia realmente unita, curata ed educata, può reggere il duro impatto di un mondo sempre più globalizzato e multiculturale, che cambia, e lo fa rapidamente.
Europa, pertanto, non è il problema, quanto piuttosto la soluzione.
Per saperne di più leggi anche l’articolo di Sara Gossi.