Una parola che da qualche tempo riempie la bocca dell’opinione pubblica, è quello delle cosiddette nozze gay, o più propriamente detti matrimoni omosessuali. Il tema è ampio e presenta numerose sfaccettature, poiché ad essere estremamente ricco e molteplice è proprio il termine “matrimonio”, a cui è possibile guardare dal punto di vista dei diritti, come ad un contratto, ad una cerimonia, un impegno, una responsabilità, ecc..
A tale riguardo, fece scalpore e visse il suo momento di gloria, la legge approvata in Spagna nell’estate del 2005, con la quale si estendeva il diritto a contrarre matrimonio civile anche alle coppie omosessuali. Oggi forse, ci si è abituati a qualcosa ormai presente da un decennio e che, pertanto, non fa più notizia. Pochi sanno che, la Spagna, tanto considerata pioniera in questo campo, non fu il primo stato europeo a muoversi in questa direzione, preceduto dal Belgio nell’inverno del 2003.
Sebbene questo non faccia più notizia, il tema dei matrimoni omosessuali è pesantemente tornato alla ribalta dopo i recenti fatti irlandesi e statunitensi. Il 22 maggio 2015 i cittadini irlandesi hanno deciso, esprimendosi attraverso il voto referendario, di legalizzare tale tipo di unione. Negli Stati Uniti a sancire tale direzione è stata la sentenza della Corte Suprema del 26 giugno 2015.
In tutto l’Occidente si festeggia per queste importanti conquiste, ed in Italia la situazione non è da meno. Le piazze si riempiono di persone che sfilano e reclamano diritti per il genere umano, ed anche i social si riempiono ti immagini dai variopinti colori. Tutto diventa color arcobaleno, tutto sembra gridare con forza: l’Italia vuole seguire l’Occidente su questa strada!
Ma è davvero giusto seguire il mondo occidentale su questo percorso? Io credo di no!
Si badi bene, tuttavia, a non fraintendere questa mia risposta. Con questo, io non intendo affatto affermare che non sia giusto percorrere questa strada, ma piuttosto che non sia corretto farlo seguendo gli altri. Il diritto al matrimonio, ad avere una famiglia, dovrebbe appunto essere un diritto universale, qualcosa che va ben oltre il sesso o l’orientamento sessuale. È semplicemente un diritto umano.
Oggi questo argomento è “alla moda”, e questo fa si che, come spesso avviene con le mode, la gente si appresti a seguire la massa nella più totale assenza di riflessione critica. L’errore non è quello di concedere dei diritti a chi, scusate il gioco di parole, ne ha diritto. Ma l’errore è compiere questa operazione in questo modo, seguendo il gregge.
Concedere dei diritti perché “in tutto il mondo si fa” è sbagliato, poiché così facendo non si considera adeguatamente e non si dà il giusto valore alla cosa di per sé. Che tutti, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dall’orientazione sessuale o dalla religione, godano degli stessi diritti in quanto appartenenti al genere umano, è una cosa giusta che non trova la propria giustificazione nelle azioni o nelle considerazioni altrui, quanto piuttosto in sé stessa. Si tratta di una giustizia autosufficiente.
Seguire gli altri nel momento della giustizia, come in questo caso, significa seguirli anche nel momento dell’ingiustizia. Prendere oggi questa strada “perché lo fanno tutti”, significa cambiarla qualora gli altri decidano di modificare il proprio percorso, abbandonando così dei valori che, senza un approccio critico, non avremo mai fatto realmente nostri.
Diritti umani basilari, che non danneggiano nessuno e che anzi arricchiscono tutti, non possono dipendere assolutamente dalla moda di un momento, ma devono essere momenti sostanziali che sorreggono la morale di un popolo civile fin dalle fondamenta.
L’Italia deve pertanto seguire gli altri su questa strada? No. Non deve seguire gli altri a testa basa, giacché così facendo la percorrerebbe ad occhi chiusi, senza realmente superare una certa becera omofobia, ma deve invece percorrere questo cammino autonomamente ed a testa alta, così da conoscere realmente la sensata umanità che lo contraddistingue, ove il diritto di uno non diminuisce il diritto dell’altro.
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