In principio ci furono i Pacs, ovvero “patto di solidarietà civile”. Nel lontano 2002, il deputato democratico Grillini propose una normativa in cui le unioni civili erano definite “contratti conclusi tra persone maggiorenni di sesso uguale o diverso, per organizzare la propria vita insieme”. Il tutto si concluse in un nulla di fatto.
Venne poi il 2007 e le ministre Barbara Pollastrini e Rosy Bindi con i DICO, o diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”. Le due democratiche avevano rivisto la proposta di legge sui Pacs per accontentare l’ala cattolica di governo. Nel nuovo testo non si faceva riferimento alla “coppia” ma più genericamente a “persone conviventi” e i diritti venivano drasticamente tagliati. Nonostante i compromessi, la proposta non piacque ai cattolici che nel maggio del 2007 organizzarono il family day che fermò le discussioni. Un nuovo tentativo provò ad introdurre i Cus, contratti di unione solidale, ma il governo Prodi cadde un anno più tardi le unioni civili furono di nuovo dimenticate.
Nel 2008 arrivò il ministro berlusconiano Brunetta che aveva in mente i DiDoRè, ovvero i diritti e doveri di reciprocità dei conviventi, ma nessuno nella sua coalizione sembrava interessato all’argomento e di unioni civili non si parlò di nuovo più.
Ci fu poi la Corte Costituzionale, che nel 2010 decretò il diritto delle coppie omosessuali di “vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Ma anche queste parole caddero nei meandri dei libri di giurisprudenza e non ottennero nessuna risposta dal legislatore.
Infine vennero i sindaci di Roma, Bologna e Milano che decisero di iscrivere le unioni conseguite all’estero tra persone dello stesso sesso nel registro di stato civile, equiparandole nella pratica alle unioni eterossessuali. Tale provvedimento non passò inosservato agli occhi dell’ala cattolica, tanto che il ministro degli interni Alfano intimò ai comuni la cancellazione di tali matrimoni dai registri, in quanto un’eventuale comparazione tra coppie omosessuali e eterossesuali sarebbe potuto spettare solo al legistlatore. Il Tar diede invece ragione ai comuni.
Nonostante le tante possibilità di introdurre una normativa sulle civil partnership, l’Italia rimane tuttavia l’unico Paese dell’Europa occidentale a non avere una legge sulle unioni civili, ed anche l’ultimo tentativo della senatrice PD Cirinnà sta ottenendo l’ostruzionismo dell’area destra del governo.
Nel marzo del 2015 la parlamentare del Partito Democratico presentò una proposta di legge che prevede la nascita in ogni comune italiano di un registro delle unioni civili in cui “si possano iscrivere alla presenza di due testimoni due persone dello stesso sesso, maggiorenni e capaci di intendere e di volere, unite da reciproco vincolo affettivo”. Il testo garantisce l’eredità e l’assistenza sanitaria, questioni fondamentali per le unioni gay, mentre non sono previste le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso.
La proposta di legge Cirinnà sembrava una buona occasione per l’Italia per entrare finalmente nella rosa dei paesi con una normativa sulle civil partnership, ma anche questa volta la discussione in aula si è impantanata nelle proteste della sponda destra del governo, tanto che questa mattina la redatrice ha depositato una nuova proposta di legge che non prevede un registro ad hoc per unioni civili, ma l’iscrizione di queste ultime al registro di stato civile e in cui vengono cancellati i riferimenti all’articolo 29 della costituzione, ovvero quelli riguardante la famiglia. Inoltre, se nella versione originale si era consentita una forma di adozione per i figli naturali o adottati di uno dei due coniugi da parte dell’altro membro della coppia, ora si parla solo di figli naturali.
Nonostante i grandi compromessi apportati, il testo sta ottenendo ancora il boicottaggio di Ncd, capitananti da Giovanardi, che solo oggi ha presentato 21 emandamenti per bloccare i lavori.
Il Partito Democratico è comunque intenzionato a portare avanti la sua proposta, che sarà votata il 14 ottobre: “Nell’ordinamento giuridico italiano ci sarà il riconoscimento pieno delle coppie composte da persone dello stesso sesso, questo avverrà attraverso un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico, denominato unione civile. Come ripeto da mesi, nessun passo indietro sul riconoscimento dei diritti sociali” spiega l’autrice del testo.
“Per noi il testo non risolve i problemi principali. Rimane il macigno divisivo della genitorialità e della legittimazione dell’utero in affitto che noi chiediamo anzi di perseguire come ‘reato universale’. In queste condizioni l’iscrizione nel calendario dell’aula senza relatore è inaccettabile perché la commissione rimane il luogo dell’approfondimento e del confronto altrimenti negati” ribatte Maurizio Sacconi, rappresentante dell’Area popolare.
La reticenza dell’Italia ad occuparsi di questo tema l’hanno spessa resa protagonista di richiami da parte dell’Unione Europea, non ultimo quello di oggi, in cui il Parlamento Europeo ha chiesto ad 8 stati membri tra cui il nostro di aprire alle coppie omosessuali istituzioni giuridiche come “la coabitazione, le unioni di fatto registrate e il matrimonio” ed ha inoltre ribadito l’importanza di sanzionare “cariche pubbliche che insultano omosessuali e transessuali”.
Cosa ne sarà del ddl Cirinnà lo decreterà la votazione del 14 ottobre, quello che è certo è che la strada italiana verso una normativa efficace sulle civil partnership è ancora lunga e districata di compromessi.