Ancora nessuno l’ha capito se il famigerato Job Act sarà la manna dal cielo che riuscirà a far uscire l’Italia dal buco nero della recessione, o semplicemente una norma che cancella quasi 50 anni di rivendicazioni sindacali.

Ma prima di tutto, cos’è il Job Act?

Il Job Act è la riforma del lavoro promossa dal governo Renzi tramite diversi decreti legislativi tra il 2014 e il 2015.

Una delle novità più controverse del provvedimento è l’introduzione del “contratto a tutele crescenti”, un tipo di contratto a tempo indeterminato in cui le garanzie aumentano man mano che passa il tempo, finalizzato a combattere il precariato e i contratti a chiamata stile co.co.co e co.co.pro.

Altro elemento di polemica è stato dettato dal fatto che il nuovo contratto non sarà più regolato dall’articolo 18, ma da un’indennizzo monetario sia che il licenziamento avvenga per motivi economici che per ingiusta causa.

Secondo la voce.it, tale novità rende più facile i licenziamenti, ma anche più semplice l’assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato. Non è infatti una norma pensata per ridurre la disoccupazione, quanto il lavoro a termine.
Ad accompagnare questo provvedimento c’è infatti anche una diminuzione della pressione fiscale a quelle aziende che assumono a tempo indeterminato.

I commenti negativi si sprecano, per la Cgil la riforma dei contratti “ridefinisce la regolamentazione dei licenziamenti, e non l’introduzione di una fattispecie contrattuale definita ‘a tutele crescenti’ ancorché a tempo indeterminato”, mentre Pippo Civati, allora nella minoranza del Partito Democratico, ora uno dei fuoriusciti, chiosa “Non solo il contratto non è unico, ma contiene anche molteplici inganni”.
Secondo Luigi Mariucci, professore ordinario di diritto del lavoro alla Cà Foscari di Venezia, gli “interventi di semplificazione, modifica o superamento delle tipologie contrattuali restano del tutto ipotetici e virtuali, ma certa è invece l’introduzione di un nuovo dualismo nel mercato del lavoro: a tutti i nuovi assunti verrà applicata una tutela dimezzata contro i licenziamenti ingiustificati, mentre i lavoratori già in servizio godrebbero invece della tutela per così dire “piena” dell’art.18″.

La riforma passa ad occuparsi degli ammortizzatori sociali: l’assicurazione sociale per l’impiego è abolita e al suo posto introdotta la Nuova Prestazione di assicurazione sociale per l’impiego che prevede un sussidio decrescente per la durata di 24 mesi.

Il testo ha trovato molti ostacoli davanti a se, dalle manifestazioni dei sindacati alle proteste dell’opposizione in parlamento, ma stando ai dati, sembra che il Job Act stia avendo conseguenze positive sull’economia e il mercato del lavoro in Italia.

Secondo un’analisi del Fondo Monetario Internazionale condotto nel mese di giugno, l’economia italiana “sta emergendo gradualmente da una prolungata recessione” e l’azione combinata di Job Act e ripresa economica farà diminuire la disuccupazione che rimane però troppo alta.

Anche il Word Economic Forum si esprime positivamente sui provvedimenti presi dal governo Renzi: “Le riforme strutturali del mercato del lavoro sono la forza trainante di un forte miglioramento complessivo della competitività dell’economia in Italia”, tanto che l’Italia scala ben sei posizioni nella classifica delle nazioni più competitive, passando dalla posizione 49 alla 43: “L’efficienza del mercato del lavoro è «ancora bassa» ma migliora”.

Anche i dati Istat concordano con quello fin ora detto.

La stima dei disoccupati diminuisce del 4,4% (-143 mila) su base mensile”

«Dopo la crescita degli ultimi due mesi, a luglio il tasso di disoccupazione cala di 0,5 punti percentuali, arrivando al 12,0%» spiega l’istituto di statistica nella peridioca analisi sull’ occupazioe in Italia. «Nei dodici mesi la disoccupazione diminuisce del 6,6% (-217 mila persone in cerca di lavoro) e il tasso di disoccupazione di 0,9 punti”.

L’Italia sta forse iniziando a risorgere dalle ceneri di una crisi finanziaria che sembra non avere mai fine. Se il meritò sarà del Job Act potrà dircelo solo il tempo, per ora i dati danno qualche speranza.