Bicameralismo imperfetto, esecutivo sempre più forte e tante polemiche sono gli ingredienti della riforma della Costituzione italiana, importante quanto travagliata, che è stata approvata in prima lettura martedì 13 ottobre 2015.
Il cosiddetto “ddl Boschi” che sancisce la fine del bicameralismo perfetto, avrà ora bisogna di una seconda approvazione da parte di Camera e Senato e, a detta del presidente del consiglio, anche del voto popolare tramite referendum, per entrare ufficialmente in vigore, ma i giochi sembrano ormai fatti.
Ma cosa prevede questa tanto decantata riforma?
Il “ddl Boschi” vede la drastica riduzione dei poteri del Senato della Repubblica. Quest’ultimo verrà trasformato nella “camera delle regioni” e sarà composto da centro membri di cui 74 consiglieri regionali, scelti proporzionalmente tra le varie regioni d’Italia, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal capo dello stato per 7 anni.
Non più elezione diretta dei senatori, ma comunque gli elettori avranno voce in capitolo sulla scelta: i membri della “camera delle regioni” verranno votati attraverso un’apposito listino o attraverso la nomina dei “più votati” con un meccanismo proporzionale ai voti conquistati a livello nazionale.
La riduzione dei membri della camera alta mette in crisi il sistema dell’elezione del presidente della Repubblica: il quorum viene aumentato, non basterà più la metà più uno dei votanti, ma serviranno i due terzi per i primi scrutini, poi si passerà ai tre quinti.
Secondo il testo approvato, il ruolo principale del “nuovo Senato” sarà quello di occuparsi di enti locali italiani e di Europa, di vigilare sulle politiche pubbliche e sulla Pubblica Amministrazione, inoltre potrà eleggere due giudici della corte costituzionale e votare la legge di Bilancio.
Le prerogative che gli verranno sottratte saranno invece quelle della fiducia al governo e dell’approvazione delle leggi, che rimarranno poteri solo della Camera dei Deputati.
Il parlamento potrà però esprimere proposte di modifica delle leggi, anche quelle che esulano dal suo campo di competenza. Per farlo necessiterà dell’approvazione di almeno un terzo dei componenti e sarà costretto a farlo entro 30 giorni. A quel punto la Camera dei Deputati avrà 20 giorni per decidere se accogliere o meno il suggerimento del “nuovo Senato”.
Tutto questo servirà per snellire il processo di approvazione delle leggi e nel frattempo verranno aumentati anche i poteri del governo che avrà una corsia preferenziale per i provvedimenti: la Camera avrà l’obbligo di metterli in votazione entro 70 giorni dalla presentazione.
Viene rafforzato anche il potere della Corte Costituzionale che avrà la possibilità su richiesta di almeno un terzo dei componenti della Camera dei Deputati, di dare un parere preventivo sulla legge elettorale, in modo che non ricapiti la situazione avvenuta con il Porcellum, quando per anni gli elettori andarono a votare con una legge elettorale viziata da diverse forme di incostituzionalità.
Ma cosa pensano gli elettori della riforma costituzionale?
Un sondaggio dell’istituto Demopolis mostra come la cancellazione del Senato trovi l’accordo del 66% degli intervistati, sottolineando l’esigenza diffusa nell’opinione pubblica di una drastica riduzione del numero dei Parlamentari.
C’è molto meno accordo però quando si parla del contenuto della riforma: il 48% degli elettori avrebbero gradito maggiormente un passaggio definitivo al monocameralismo ed il 30% vorrebbe mantenere l’elezione diretta dei “nuovi senatori”, piuttosto che il prelevamento di questi dai consigli regionali.
C’è un certo scetticismo anche quando si parla di approvazione della proposta. In molti infatti sostengono che la riforma non entrerà mai in vigore: solo il 40% del campione intervistato crede infatti in un’effettiva cancellazione del Senato della Repubblica.