Dopo il trionfo di Gomorra e Romanzo Criminale (serial televisivi) e il problematico A.C.A.B, Stefano Sollima si risiede dietro la macchina da presa. Suburra è il titolo del suo ultimo film e un richiamo all’omonimo quartiere di Roma, vicino al Quirinale e al Viminale. E tuffandosi nella capitale, il film è disseminato di indizi relativi agli ultimi fattacci che l’hanno resa protagonista infame delle cronache politiche. Il sequestro di beni e le custodie cautelari a Ostia, l’ascesa criminale del clan degli zingari, dei Casamonica, di Carminati, il disagio del precedente Pontefice e dell’ultimo governo Berlusconi invischiati in un caos insostenibile. E attori come Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Gorietti e Adamo Dionisi sono stati scelti per personificare i personaggi chiave delle storie romane, raggiungendo buon livelli di recitazione.
Ma il guaio di Suburra, considerato romanzo profetico (poiché girato in anticipo rispetto all’esplosione di Mafia Capitale) di Roma, è la sua testardaggine nel voler riproporre lo schema vincente delle due serie televisive di mano sollimana. Le scene d’azione sono girate con classe. Tuttavia, quando provi a sgranare gli occhi per l’effetto sorpresa, succede qualcosa di talmente banale che non urta la comodità poltronesca della sala cinematografica.
Cinema come forma di intrattenimento e action/thriller tecnicamente valido. Inutile cercare la rivelazione letteraria, un movimentato approfondimento di vicende politico-giudiziarie, il concetto di verità assoluta (obsoleto, fiacco) che sta facendo sfiorire il ruolo intellettualistico di Roberto Saviano.
In poco più di due ore puoi sgranare gli occhi a intervalli regolari, sgranocchiare patatine, bere un poco d’acqua, notare la bravura degli attori noti e di quelli esclusi dalle copertine, senza pentirti di aver pagato il biglietto. Senza temere che una nuova “Apocalisse”, spesso citata nel film, venga a cancellarci dalla faccia della terra.