A generalizzare sul genere si rischiano equivoci sui generis. Ebbene sì, l’ideologia gender non esiste.
Tutto parte dal dibattito intorno al comma 16 dell’art. 3 nell’ambito del disegno di legge 107/2015 della Riforma della Buona Scuola:
Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attivazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nella scuola di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni al fine di informare e di sensibilizzare i docenti, gli studenti ed i genitori alle tematiche indicate dall’art. 5 comma 2 che richiama il decreto legislativo del 14/8/2013.
Relativamente alle tematiche sopramenzionate si è diffusa un’orda di notizie circa una fantomatica cospirazione da parte dei “piani alti” desiderosi di indottrinare alla cosiddetta ideologia/teoria gender.
Eppure il testo circolato sul web descriveva una legge-complotto ordita da Stato e Scuola ai danni di inermi bambini e disinformate famiglie. Seguiva, così, la petizione “Sull’educazione affettiva e sessuale nelle scuole” pubblicata dall’Associazione ProVita e promossa, tra le altre, da: Movimento per la vita; Associazione Genitori delle Scuole Cattoliche (AGeSC); Associazione italiana Genitori (AGe); Giustizia per la vita.
Per tale motivo, alcune associazioni hanno incitato le famiglie a diffidare dalla scuola, in special modo quando utilizza termini come identità, diversità e genere. La scuola, quale luogo di apprendimento e di crescita della futura generazione, è la sede deputata allo sviluppo della coscienza individuale e il posto in cui i bambini imparano a relazionarsi con il mondo esterno.
A conclusione di questo percorso la scuola consegna alla società individui che devono essere in grado di rapportarsi all’esterno secondo un sistema condiviso di valori e di regole. Giacché essa riveste un ruolo importantissimo, la famiglia deve rivendicare il proprio legittimo diritto di condividere con la scuola le finalità educative. A questo fine, è indispensabile conoscere su quali principi imprescindibili ed inderogabili- in quanto fondanti l’ordinamento scolastico- deve basarsi l’offerta formativa.
Lo Stato deve creare e favorire un sistema educativo che miri ad eliminare ogni forma di discriminazione e convenzione sociale che impedisce la piena realizzazione della personalità di ogni individuo. Invero, le odierne indicazioni nazionali per il curriculum, ossia i vecchi programmi ministeriali, esplicitano l’obiettivo della scuola: raccogliere con successo la sfida di apertura al mondo.
La scuola mira inoltre alla pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze e a valorizzare le singolarità dell’identità culturale di ogni studente non eludendo le questioni di genere.
Per cui pare proprio che la legge 107/2015 intenda solo innocentemente contrastare gli stereotipi di genere e, in contemporanea, il bullismo e la violenza contro le donne. Insomma, l’Italia si adegua, in materia di parità di diritti, agli altri Paesi europei. Difatti, nel nord Europa sono soprattutto Islanda, Norvegia e Finlandia a garantire minori discrepanze economiche e professionali tra uomo e donna. Da questo punto di vista l’Italia occupa una posizione bassissima- la 69ima- nella classifica stilata dal World Economic Forum for Global Gender Gap riguardo a tutte le forme più comuni di disparità tra sessi.
In realtà nessuno vuole eliminare le differenze sessuali e neanche enfatizzarle; si tratta solo di un incoraggiamento delle istituzioni verso l’educazione alla parità ed è, in base alla circolare 4321, un progetto condotto grazie al consenso informato dei genitori.
Piaccia o no, non esiste alcuna ideologia dietro la proposta di legge, ma solo il tentativo di combattere pregiudizi, sviluppare consapevolezza rispetto alle influenze storico-culturali che tutti subiamo e prevenire atteggiamenti violenti.
Insomma, non esiste una teoria gender di indottrinamento masse né, tantomeno, si può rischiare di confonderla con il campo di indagine scientifica anglosassone che prende il nome di Gender Studies. Tale approccio interdisciplinare studia infatti i significati socio-culturali dell’identità di genere e della sessualità; sonda cioè le modalità con cui la società interpreta le differenze tra femminile e maschile.
In tutta questa faccenda non riscontriamo nessun pericolo, tanto più per bambini ed adolescenti, perché ad aver creato allarmismi sono gli adulti, capaci di usare etichette ed accusare gli altri di apporle. Su questa scia l’opinione- non faziosa- offerta dalla diocesi di Padova per eliminare ogni ritrosia sulla legge in oggetto.
Concludendo, il punto è che il primo è più importante supporto nella crescita di un individuo è dato dalla famiglia: essa non è solo il prodotto di un accoppiamento riproduttivo ma il frutto di un legame affettivo e, insieme, di un progetto sociale.