Era il 1923 quando Mussolini, in gravissimo ritardo rispetto ad altre nazioni europee, stufo delle imposizioni dal basso promulga la legge per cui la giornata lavorativa viene ridotta a otto ore. Nel 2014, in Svezia, iniziano nuovi esperimenti per ridurre inefficienza e malattie degli impiegati sottoposti a lunghi periodi di lavoro: fino a fine 2016 una parte dei dipendenti della città di Goteborg riceverà la stessa busta paga di tutti gli altri, a fronte però di un monte ore di trenta ore settimanali, sei al giorno.

Già negli anni passati alcuni municipi svedesi, durante le amministrazioni di sinistra, avevano tentato la riduzione degli orari di lavoro, ripristinati però per intero dalle successive vittorie dei partiti di destra. La ragione è semplice: meno ore di lavoro allo stesso prezzo significa necessità di più lavoratori e dunque un costo maggiore per la collettività. Anche se i motivi per cui queste norme sono state abrogate riguardano “disonestà e populismo” che la proposta comporterebbe.

Per quanto riguarda le aziende private, la prima fu la Toyota di Goteborg, che decise di intraprendere questa strada ben tredici anni fa; il risultato fu un aumento del profitto del 25% e soprattutto l’incremento dell’efficienza e del benessere dei lavoratori. A questa seguì la Filimundus, azienda di sviluppo di app di Stoccolma, e ora una casa di cura per anziani sempre a Goteborg.

I miei amici sono invidiosi. […] È bellissimo finire di lavorare alle 12. Prima che avessi una famiglia potevo andare in spiaggia dopo il lavoro. Ora passo il pomeriggio con i miei bambini.

Martin Geborg, 27 anni, operaio Toyota.

Ci sono però dei contro. Al di là della possibile diffusione della proposta su larga scala, basata però su concetti anche non commensurabili (come si misura la felicità?), vi sono casi in cui questo non può avvenire. Contesti quali ospedali, tribunali, anagrafi non possono chiudere anticipatamente, se non con un aumento del costo per la popolazione o almeno con migliorie nelle prestazioni e nel tasso di digitalizzazione delle stesse aziende.

Bisogna inoltre considerare il fatto che questi cambiamenti stanno avvenendo in un Paese con una cultura totalmente diversa dalla nostra, dove già l’orario di lavoro è diminuito rispetto a quello standard italiano; questo significa che nel nostro Paese la riduzione della qualità del lavoro è sempre stata controbilanciata da un aumento della quantità, come accade già nel resto del Mediterraneo, e non con buoni risultati. Una diminuzione del monte ore caratterizzata però della proibizione dell’uso dei social network, delle pause, delle riunioni e delle distrazioni potrebbe non essere la soluzione adatta.

Il logo di Brath, la prima start up dove i dipendenti lavorano sei ore al giorno | Brath.com

Il logo di Brath, la prima start up dove i dipendenti lavorano sei ore al giorno | Brath.com

La riforma del mondo del lavoro renziana, inoltre, permette alle aziende la semplificazione e la diffusione nell’applicazione dei contratti di solidarietà, un incentivo per poter aumentare il proprio organico e diminuirne l’orario di lavoro, a fronte però ovviamente di una riduzione della sua retribuzione. Combattere la disoccupazione in questo modo aumenterebbe veramente il benessere del popolo?

Tutti uguali con meno diritti non è la giusta strada, ha il sapore di abbassamento del livello di dignità e soprattutto si configura come una scorciatoia per far risaltare il carattere democratico di una sinistra che ormai, approfittando dell’ignoranza dilagante e dell’informazione manipolata dall’alleato di governo berlusconiano, di sinistra non ha più un bel niente.