Centinaia di migliaia di persone, insieme ai rappresentanti di tutti i partiti politici, chiedono chiedono che la lotta alla violenza di genere sia considerata finalmente una questione di Stato.
Ebbene sì, ieri 7 novembre alle ore 12, circa mezzo milione di persone ha invaso le principali vie di Madrid- dal Paseo del Prado fino a Plaza de España, per urlare alla violenza sulle donne come ad un ecatombe dato che- già questo anno- ha contato 84 femminicidi.
Se passiamo all’Italia i dati non sono meno allarmanti visti quelli forniti a giugno 2015 dall’indagine ISTAT, finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità. Il rapporto, relativo al quinquennio 2009-2014, rileva che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 10 anni ha subito, almeno una volta nella vita, violenza fisica o sessuale e stalking. Senza snocciolare numeri precisi, la proporzione 1 donna su 3 dà l’idea di quanto il fenomeno sia diffuso e grave.
Rispetto alla prima rilevazione, condotta dal 2002 al 2007, quella presente sottolinea un passo avanti in fatto di presa di coscienza dell’abuso che però, sfortunatamente, non corrisponde sempre all’atto di denuncia alle autorità.
Il numero in calo, stando alle dichiarazioni dell’Associazione Donne in rete contro la violenza, si deve all’incremento del grado di informazione, sensibilizzazione e scolarizzazione raggiunto attraverso la task force dei numerosi centri anti-violenza.
Difatti, tale fenomeno produce ormai forte risonanza a livello mediatico e viene condannato all’unanimità. Malgrado ciò il Governo italiano non ha ancora riconosciuto a tali centri il ruolo determinante di cambiamento dell’atteggiamento che spesso giustifica quello prevaricatore maschile. Manca, infatti, tutta una serie di politiche che aiutino le donne a raggiungere l’autonomia economica, ovvero lavorativa ed abitativa.
I dati negativi della suddetta ricerca riguardano:
- l’immensa paura che prova la donna nel denunciare la fonte delle sue ossessioni giacché non si sente tutelata dallo Stato, afflitto com’è da pericolose lungaggini burocratiche, e teme conseguenti ritorsioni personali
- la violenza vissuta tra le mura domestiche poiché essa è perpetrata soprattutto da amici, familiari, partner ed ex partner; si rileva, infatti, che provenga nel 62,7% dei casi da ex partner e solo nel 4,6% da sconosciuti.
Il primo aspetto denuncia storie di sopraffazione maschile e contestuale sofferenza femminile che difficilmente vengono a galla; anzi, ben il 40% delle donne che subiscono violenza non parlano di quanto accade loro. Il secondo è, se possibile, l’elemento più importante perché palesa il tenore del problema in questione, ossia il modo in cui violenza fisica e verbale sono vissute.
Incrociando i dati europei emerge, infatti, che l’aguzzino infligge violenza a fin di bene: la considera, cioè, una giusta punizione al mondo femminile. Si creerebbe, dunque, un ciclo coattivo di induzione alla violenza in cui l’unica responsabilità è attribuita a chi la subisce, la violenza. Essa viene così accettata dalla vittima, complice una cultura della vergogna dura da sradicare o anche solo da scalfire. Pertanto, la denuncia pubblica va considerata come una coraggiosa presa di posizione che suppone pesanti risvolti psicologici e sociali.
Tali dati richiedono un’analitica riflessione che possa convergere su due fronti: quello politico, finalizzato alla prevenzione della violenza di genere e alla protezione sin dalle sue prime manifestazioni; quello della cultura, volto a combattere gli stereotipi che vi appartengono.
Nella fattispecie, la socia fondatrice di Linea Rosa, Monica Vodarich, sostiene che i dati dispieghino una realtà odierna in cui tra uomini e donne esiste una guerra fredda fatta di deplorevoli convenzioni e discriminazioni, tutte di natura socio-culturale.
Ed è questo il nodo cruciale: le statistiche rivelano come le relazioni interpersonali siano il ricettacolo di visioni distorte dell’amore. Queste, una volta interiorizzate, conducono a relazioni intime in cui la violenza diventa necessaria per (ri)stabilire chi detiene i potere di troncarle. Conseguentemente, la violenza si acuisce sino a diventare dramma e a occupare la pagina di cronaca nera non appena la donna voglia liberarsi degli abusi e scelga quindi la via della separazione.
Per tali motivi, la soluzione deve prestarsi a una riflessione circa le disposizioni giuridiche e questa passa, volente o nolente, attraverso una riforma di tipo culturale.
Fortunatamente, il fenomeno viene contrastato con successo sin dal 2009, ovvero dall’introduzione del reato di stalking, e grazie all’istituzione di strumenti internazionali come la “Convenzione di Istanbul” (2011) che rappresenta il principale vincolo giuridico in materia di lotta alla violenza domestica assistita. Del resto, sono state state varate molteplici norme di tutela e sono state inasprite quelle penali.
Preso nota delle statistiche e percepito il sentimento comune, oggigiorno cittadine e cittadini richiedono la promozione di centri di ascolto e di iniziative volte ad informare e sensibilizzare le giovani generazioni. È la visione patriarcale insieme ad un certo retaggio culturale a dover essere stanati e combattuti.
La lotta alla violenza di genere inizia dall’educazione, impartita in famiglia e tra i banchi di scuola; il rispetto, il senso di giustizia, parità ed il riconoscimento dei diritti umani si trasmettono mettendoli in pratica. Dovremmo esserne tutti un esempio.