Tutto il cinema e tutta la letteratura, sono prodotti di un dato momento, di una data cultura. Questo oggi è valido più che mai, giacché questi sono stati fagocitati all’interno di un meccanismo governato dalle regole del mercato, della domanda e dell’offerta. Quello cinematografico in particolare, è un settore in cui il denaro gira in abbondanza, e dove pertanto sono fortissimi gli interessi economici.
Viene prodotto solamente ciò che può esser facilmente venduto, e che pertanto è in grado di produrre denaro. Sulla carta e sullo schermo finiscono unicamente quei prodotti in grado di avere un riscontro nella domanda di un pubblico che sempre più si vuole protagonista, immedesimandosi nei personaggi di cui legge o che osserva. I prodotti del mercato devono rispecchiare il consumatore stesso.
Libri e film, sono spesso uniti da un legame di parentela diretto, in cui, come per padre e figlio, dai primi derivano i secondi. Sono sempre più numerosi gli adattamenti cinematografici che offrono, ad un pubblico forse troppo pigro, facili trasposizioni di libri che, diversamente, necessiterebbero tempo ed impegno per essere letti. La comodità dello schermo, con la sua velocità ed i suoi effetti, supera di gran lunga scomodità del peso della carta, che non solo richiede più tempo, ma anche un maggiore utilizzo dell’immaginazione, dovendo plasmare da sé le immagini di volti, paesaggi e non solo.
In un contesto così delineato, per comprendere un po’ meglio la società nella quale ci troviamo, ci basta guardare quali siano mai le sue richieste, e per farlo non dobbiamo fare altro che puntare lo sguardo sulle offerte che il mercato mette a disposizione di una sempre più crescente domanda. Il risultato, apparentemente banale, rischia di svelare qualcosa di profondo.
Potremmo tranquillamente affermare che, oggigiorno, esiste un pubblico che, coscientemente o no, alimenta un sempre più crescente genere come quello distopico, rispecchiandosi di fatto in una società che si proietta più verso la distopia che verso un nuovo stato di benessere, in una chiara manifestazione di insofferenza con chiari sintomi di malessere generale.
Ma cosa è una distopia? Il termine non è certamente di uso comune, e rimanda direttamente all’opposto dell’utopia. Se quest’ultima è un luogo bello, perfetto, nel quale tutti vorrebbero vivere, il suo contrario, la distopia, è un luogo nel quale le condizioni di vita non sono favorevoli all’uomo, in cui pertanto nessuno vorrebbe vivere e dal quale tutti vorrebbero scappare.
Questo genere, vive recentemente un vero e proprio boom. Il mercato mette a disposizione dei consumatori un sempre crescente numero di titoli che possano soddisfarne la richiesta. Esempi palesi e concreti sono rappresentati dalle varie trasposizioni cinematografiche di altrettanti libri famosi.
A titoli storici, come “Terminator” o “Matrix”, si sono pertanto aggiunti i più recenti “The giver – Il mondo di Jonas”, uscito nelle sale cinematografiche italiane nel settembre 2014, tratto dal libro di Lois Lowri “The Giver – Il Donatore”, la fortunata saga di “Hunger Games” il cui ultimo capitolo uscirà nelle sale nel novembre 2015, tratto dai libri di Suzanne Collins, o la serie di “Divergent”, il cui ultimo film è uscito nel marzo 2015, tratta dall’omonima serie di Veronica Roth.
Questi film, caratterizzati da una società allo stremo, in cui il valore umano non è che un lontano ricordo, ed in cui sulla popolazione vige un controllo estremo ed opprimente che abbraccia tutti gli aspetti della vita, attirano a sé un ampio pubblico che se ne nutre avidamente, immedesimandosi nei personaggi che osserva e desiderando trovarsi in quel controverso contesto.
Questo desiderio non è contraddittorio nei confronti di un quadro distopico, dal momento che questo non si riversa nel voler far parte di quel dato ambiente. Lo spettatore si immedesima, parteggia e spera, per un processo di liberazione che, se raggiungibile negli eventi narrati, lo può essere, lo deve essere, anche per lui che identifica quel contesto distopico con il suo mondo reale.
Così come per i personaggi di fantasia è possibile un lieto fine nel quale la distopia viene meno, così magari anche per lui vi è la possibilità di un futuro non caratterizzato da una sensazione di oppressione, in una società un po’ più umana, ed in cui la parola “libertà” torni ad avere un significato e non solamente un suono.
Se questa è l’offerta del mercato in risposta ad una domanda, ed in questo si riflette la nostra società, allora si dovrebbe tener conto del malessere generale che emerge da questo riflesso, in cui la politica non viene più vissuta con lo spirito della partecipazione, ma con un sentimento di angosciosa oppressione che non lascia spazio all’individualità della persona, inserendola all’interno di un sistema meccanico privo di spontaneità, e che non lascia possibilità di reagire.
Tuttavia, dalla distopia di oggi, non si esce immedesimandosi in eroi immaginari, ma ricorrendo al poderoso mezzo della partecipazione attiva e collettiva, mettendo da parte la pigrizia che ci lega a quegli schermi, e tornando a vivere in prima persona come protagonisti e non semplici spettatori.