In tempi di crisi, il buon padre di famiglia è impegnato nell’arduo compito di gestire la risorse familiari a disposizione, tirando la cinghia ed effettuando sacrifici laddove indispensabile, ed eliminando il superfluo al fine di preservare il necessario. Tutto per permettere ai figli di crescere nel migliore dei modi.
Allo stesso modo lo stato, comportandosi come farebbe il padre di famiglia (sul fatto che sia buono ne dovremmo discutere), nei momenti difficili è costretto ad amministrare a fatica le risorse pubbliche, scegliendo di volta in volta come e dove impiegarle, ma soprattutto dove e come effettuare i tagli necessari al risparmio, così da consentire ai suoi figli (i suoi cittadini) di crescere (vivere e realizzarsi) nel migliore dei modi possibili.
Nell’amministrazione dell’economia domestica, il buon padre di famiglia non può spendere più risorse di quante non ne abbia effettivamente a disposizione; altrettanto dovrebbe valere per lo stato e la gestione della res publica. È questo il motivo che rende inevitabile prendere delle scelte, anche se spesso queste sono difficili.
Partendo da questi presupposti e dall’immagine dello stato come una grande famiglia, nessuno mette qui in dubbio la necessità di effettuare tagli e sacrifici volti al risparmio. Gestire vuol dire scegliere e nessuno è esente da questo fardello, tuttavia è bene che le scelte vengano fatte con giudizio. La domanda non dovrebbe pertanto essere sul se sia giusto o meno effettuare dei tagli, ma deve essere sul cosa sia effettivamente necessario e sul cosa invece sia superfluo.
Per quanto riguarda i tagli, ci sono dei “dove” e dei “come”, ovvero degli ambiti nei quali è possibile risparmiare, e dei modi con i quali questi risparmi possono essere ottenuti.
Il buon padre di famiglia non può privare il figlio del nutrimento, ma può fare a meno di portarlo al ristorante tutti i giorni; non può lasciarlo senza vestiti, ma sarà adeguatamente coperto anche se questi non saranno capi firmati. Diversamente, non potrà in nessun modo risparmiare privando il proprio figlio delle cure più appropriate a favore di altre più economiche. Evidentemente vi sono degli ambiti nei quali non dovrebbe essere possibile incontrare modi per risparmiare.
Questo conduce alle seguenti domande: il buon padre di famiglia, può risparmiare sull’istruzione e sull’educazione dei propri figli? Istruzione ed educazione sono campi sui quali è possibile effettuare dei tagli? Credo, prima di continuare, che sia doveroso ed onesto sottolineare come, tagliare in questa direzione, significhi inevitabilmente tagliare sul futuro dei nostri figli, e questo non rientri tra le possibilità di un padre di famiglia che voglia dirsi “buono”.
Oggi, spinto dalla crisi, lo stato italiano risparmia preziose risorse attraverso tagli che, non allineati al giudizio del buon padre di famiglia, vengono fatti indiscriminatamente, con poco giudizio ed in maniera lineare, lasciando spazio a qualche dirigente di tropo, auto blu, F35 e via dicendo.
I tagli statali colpiscono anche l’istruzione, ed in questo ambito si accaniscono maggiormente sui cosiddetti settori umanistici, considerati spesso improduttivi, e pertanto sacrificabili sull’altare del risparmio.
Di tanto in tanto si pensa di toglier storia dell’arte e filosofia dall’insegnamento nelle scuole superiori; nei licei scientifici si elimina il latino in favore di più ore di fisica e chimica. Ha ragione chi dice che non compreremo mai il pane parlando in latino, e che non disquisiremo mai di quanto sia bello quel pompelmo o quale sia il suo senso dell’essere. Ma è altrettanto vero che non pagheremo mai la spesa attraverso complesse equazioni o derivate.
Ma si tratta davvero di ambiti incapaci di produrre, o incapaci di produrre abbastanza? Le apparenze sembrerebbero rispondere si a questo quesito. I dati parlano chiaro: chi esce dall’università con una laurea in materie umanistiche, incontra più difficilmente lavoro e guadagna meno dei colleghi che hanno invece scelto materie scientifiche.
In una società di mercato, in cui ogni cosa o persona è mercificata, tutto ciò che non può essere considerato merce o ne produce, e pertanto commercializzato, viene automaticamente tagliato fuori. È dunque possibile rinunciare ai settori umanistici? La risposta è si, ma solo qualora si voglia vivere in un mondo di dati, numeri ed ingranaggi, e non piuttosto di persone.
Di arte l’Italia ci vive, o perlomeno potrebbe tranquillamente farlo, proprio investendo su quel patrimonio che possiede, incredibilmente ricco e, unico al mondo, inestinguibile fonte di ricchezza.
Senza la storia non abbiamo un passato, e senza un passato non abbiamo un futuro, giacché la storia è la forma della nostra esperienza collettiva.
Etica e morale non sono cose che derivano dalla scienza dei numeri, eppure sono indispensabili per la formazione delle regole sulle quali si basa la nostra vita in comune e per la sua stessa gestione.
I campi umanistici producono qualcosa che non può assolutamente essere mercificato: producono cittadini e pensatori, cultura e civiltà; in sintesi persone ed esseri umani.
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