La buona scuola”. Questo l’obiettivo della legge numero 107 del 13 luglio 2015: creare per l’appunto “la buona scuola” attraverso un pacchetto di riforme che, a detta degli addetti al lavoro, tanto buono non è.

Ma quali sono le novità apportate dalla riforma?

La fondamentale innovazione è quella di eliminare il precariato dalle scuole, abolendo definitivamente le GAE, graduatorie ad esaurimento, ed assumendo entro il mese di settembre 150mila docenti. In realtà le graduatorie non potranno essere cancellare ma verranno “svuotate significativamente” attraverso un programma di assunzioni in tre fasi. Si parte con la domanda di partecipazione per il piano straordinaio di assunzione varato dal governo, al quale hanno partecipato più di 70mila insegnanti.

Secondo un rapporto della Cisl scuola, il limite risiederebbe nel fatto “che le attuali graduatorie, nella loro composizione e articolazione, vengono di fatto trasformate nel “criterio” da cui discende la struttura degli organici, con un tasso non trascurabile di casualità”, aggiungendo poi che “ le graduatorie sono l’effetto – e non la causa – del troppo diffuso lavoro precario. E non sono mai state l’alternativa ai concorsi, ma una seconda via offerta a chi il concorso, pur non avendolo vinto, l’aveva superato. Questo almeno il senso originario. Decenni di tagli, di abnorme ricorso al lavoro precario, di cattiva gestione delle procedure concorsuali hanno portato alla situazione di oggi”.

Nella cosiddetta “fase b” sono stati assunti 8532 insegnanti con un tasso di accettazione delle cattedre del 92%.

«Siamo soddisfatti, il piano straordinario di assunzioni va avanti. Stiamo dando alla scuola i docenti di cui ha bisogno per garantire ai nostri studenti un’offerta più ricca che risponda ai loro bisogni formativi e guardi al futuro» commenta il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.

In realtà ad un mese dalla fine della seconda fase in dubbi restano. “Servirebbero più risorse da punto di vista umano – commenta Claudia, insegnante di scuola primaria – perché molto spesso gli insegnanti si ritrovano a dover coprire i turno dei colleghi assenti e di questo ne risente soprattutto la formazione dei ragazzi, che risulta spesso discontinua”.

Si parla poi di aumenti di stipendi, ma elargiti attraverso il criterio della meritocrazia: ogni tre anni, due insegnati su tre avranno un 60 euro in più in busta paga, per premiare qualità del lavoro in classe e contributo nel miglioramento della scuola e già dal 2015 ogni scuola dovrà procedere con una relazione di autovalutazione ed un progetto di miglioramento.

“L’impostazione appare molto rigida nel contrapporre “ideologicamente” anzianità e merito, con una forzatura di cui non si vedono la ragione e l’opportunità, e risalta immediatamente l’anomalia di un sistema in cui si preveda strutturalmente la presenza di una quota del 34% di docenti “non meritevoli – continua il rapporto Cisl – il prezzo lo pagherà il terzo di docenti rimasti fuori”.

Senza contare poi che nel capitolo si fa riferimento a competenza e merito dei docenti, ma “senza incentivare concretamente i corsi di formazione” spiega Rosa, insegnate di scuola elementare.

Si passa poi al capitolo sulla burocrazia: la riforma si promette di lavorare insieme al personale scolastico per individuare le procedure burocratiche più gravose.

Si pensa ad una “governance” scolastica più leggera con un consiglio dell’istruzione scolastica, un dirigente scolastico preposto all’amministrazione generale, il consiglio dei docenti e il nucleo di valutazione. Nella nuova struttura gerarchica il dirigente acquista un ruolo di fondamentale importanza non solo nelle questioni gestionali, ma anche in quelle pedagogiche, con poteri molto amplificati rispetto a prima, tra i quali quello di reclutare i propri insegnanti consultando un registro nazionale dei docenti e delle loro competenze, cosa che secondo il rapporto Cisl lascia troppo margine di discrezionalità nelle mandi dei dirigenti.

Si apre poi il capitolo sull’alternanza scuola lavoro: negli istituti tecnici saranno obbligatorie 200 ore di lavoro l’anno per gli ultimi tre anni di scuola. Qui il problema è prevalentemente economico: servono 75 milioni di euro per finanziare il progetto, a fronte deegli 11 mila stanziati nel 2014.

Infine il capitolo più spinoso: quello delle risorse da dedicare alla scuola. Tramite decreto è stato creato un fondo per il miglioramento dell’offerta formativa e delle risorse prevista a sostegno dell’autonomia scolastica, definito MOF.

La riforma non convince i più: “Riforma? Qui crolla tutto” gridano gli studenti di Palermo, scesi in piazza pochi giorni fa per protestare contro le pessime condizioni dell’edilizia scolastica palermitana.

A Roma i cortei per protestare contro la legge sono arrivati fino alle porte del ministero della pubblica istruzione: «“Siamo contro questa riforma che passa a colpi di fiducia, che ci vuole come automi, che vuole aziendalizzare la scuola col preside che sarà un manager, che propone l’alternanza scuola-lavoro, cioè saremo costretti a lavorare non retribuiti, sfruttati” protestavano i manifestanti.

“In Trentino siamo fortunati, i nostri complessi scolastici sono in buono stato – conclude Claudia – ma in molte zone le scuole sono a rischio di crolli, servono più risorse”.