L’Orso è sempre stato qualcosa di più largo della musica.

È questa la frase con cui Mattia Barro de L’Orso invitava i suoi ascoltatori ad una lezione universitaria tenutasi alla IULM di Milano lo scorso 23 ottobre. Trovandomi a casa, ho deciso di andare a sentire dal vivo una delle voci che più mi piace ascoltare negli ultimi tempi.

Nella sala non c’erano molte persone: alcuni studenti e pochi altri che erano lì per il mio stesso motivo. La chiacchierata tra Mattia e il professor Giovannetti ha offerto spunti di riflessione su come internet abbia cambiato il modo in cui si produce e si ascolta musica. Se prima il processo di uscita di un disco era piuttosto lungo, al giorno d’oggi è possibile condividere musica con il resto del pianeta in qualsiasi momento e in pochi secondi.

YouTube permette ad ogni utente di caricare i propri video, il che fa sì che in rete ci sia un’infinità di musica a disposizione degli ascoltatori, che sempre più spesso si trasformano in accumulatori seriali di brani. Quei brani vanno spesso a finire in qualche cartella nelle zone più remote del PC, tra le foto delle vacanze studio del 2009, per intenderci. È la stessa logica del buffet: prendi tutto quel che puoi, al massimo poi lo lasci.

Volendo ascoltare musica in streaming dal telefono, si può usare Spotify. Ma se non si è disposti a pagare per avere la versione Premium i brani vengono riprodotti in modalità casuale, senza tener conto dell’ordine scelto dall’autore. E nel caso dei concept album, è come leggere una romanzo partendo dal capitolo 7 per poi tornare al capitolo 2: il filo conduttore si spezza e non ci si capisce più niente.

Il progetto L’Orso nasce nel 2011, con L’adolescente EP, a cui segue, pochi mesi dopo, La provincia EP. Durante la conferenza, Mattia Barro racconta di quando si è trasferito a Milano per studiare all’università, parla di un ragazzo di provincia, dei tempi d’oro di Ivrea, perla industriale ormai decaduta, e dell’Olivetti.

La Provincia EP, copertina (dettaglio)

La Provincia EP, copertina (dettaglio)

Tornando a parlare di musica, il professor Giovannetti chiede se nella composizione di un brano nascano prima le parole o la melodia. Il cantante de L’Orso spiega come sono nati i suoi dischi e come il progetto si stia evolvendo: se prima i brani partivano da un testo scritto da mettere in musica, come nel caso di La provincia EP, L’adolescente EP e L’Orso, adesso si tratta quasi di scrivere con la chitarra in mano: nasce prima la musica delle parole. È come nel rap, genere da cui proviene Mattia Barro, dove prima nasce il beat, sul quale poi va a posizionarsi il testo.

L’Orso ha diversi canali e modi per arrivare ai propri ascoltatori: dalla pagina Facebook, sulla quale i membri leggono i commenti e interagiscono con gli utenti, alle playlist “Il tempo per te” su Spotify, e “PATTINE” su YouTube. La possibilità di avere un rapporto così diretto con l’artista, però, non ha solo lati positivi.

Questo tipo di rapporto, infatti, fa sì che il confine tra l’artista e la persona vera e propria diventi sempre più labile. È invece importante ricordare che queste due figure appartengono a due mondi ben distinti, che forse sarebbe meglio tenere separati.

A proposito della scena indipendente italiana, Mattia è piuttosto critico:

Non ci sono sottogeneri, e di conseguenza artisti come Brunori Sas, I Cani, Lo Stato Sociale e L’Orso vengono messi nello stesso calderone.

È il gioco del correlato, alimentato dai canali attraverso i quali ascoltiamo musica. Questi, infatti, ci consigliano brani in base agli artisti che già ascoltiamo, trascinandoci dentro un vortice dal quale è difficile uscire.

È un circolo vizioso in cui ciò che è completamente diverso da ciò che si ascolta non viene mostrato, e quei brani che hanno anche solo un minimo tratto in comune con la musica che già conosciamo vengono messi in un contenitore su cui apporre un’etichetta, per poter rispondere alla tanto temuta domanda: “Che musica ascolti?”. E in questo modo tutto si appiattisce.

L’anno scorso mi è capitato più volte di entrare nell’argomento “artisti italiani” con studenti di altri paesi. Faceva parte dello scambio culturale a cui stavo partecipando e grazie al quale ho potuto allargare il mio panorama musicale.

Purtroppo, a quel tempo avevo ben poco da condividere. Ascoltavo per lo più artisti stranieri, pensando che l’erba del vicino fosse più verde. Da qualche mese ho invece trovato degli spazi verdi, anzi, verdissimi, anche in Italia; bastava cercarli.