Delocalizzazione, aumento del potere del capitale finanziario, sfruttamento di manodopera grazie alla riduzione dei diritti del lavoratore: sono queste le parole d’ordine che dominano il mondo neo-capitalista e che in epoca di crisi sono tornate a regolare il mercato del lavoro. I tagli alle politiche sociali, l’abbassamento del salario medio e l’aumento fiscale hanno fatto il resto: secondo El Pais, se il 10% della popolazione dei Paesi colpiti possiede il 50% della ricchezza degli stessi, la massa dei nuovi poveri europei ne detiene solo il 3%.

Tutti i cittadini di fronte all’ondata di crisi hanno perso potere d’acquisto, ma in misura decisamente diversa: il 13% del salario annuo per quel 10% di popolazione meno abbiente, solo l’1,5% per il 10% più ricco (si veda l’articolo di Carlos Yarnoz de El Pais Crisis y desigualdades, 20 maggio 2015). Aumenta la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri, insomma, e il fenomeno non sembra in procinto di fermarsi. Più che uno stimolo alla crescita, la disuguaglianza economica costituisce un ostacolo per il raggiungimento di un maggior benessere da parte di tutti.

Al di là delle decisioni dei governanti degli Stati in crisi, che tendono ad arginare il fenomeno degli investimenti all’estero potenziando le attività dei super ricchi su territorio nostrano senza preoccuparsi del resto della popolazione, e delle discriminazioni al momento della ricerca di un lavoro (si pensi alle differenze salariali sulla base del genere di appartenenza), le riforme necessarie al raggiungimento di una minore disuguaglianza sarebbero molto semplici: garanzia di un salario minimo per tutti, istruzione e sanità gratuite, approvazione di buone politiche sociali.

Greece on strike

Se nell’Unione europea la disuguaglianza economica dei singoli Paesi si attesta attorno al 12%, nei Paesi in crisi come Italia e Spagna è andata aumentando nell’ultimo trentennio, raggiungendo in questi tempi il 34%; sono più di 4 milioni gli italiani che secondo la Coldiretti ricevono aiuti alimentari per sostentarsi, in forma di pacchi alimentari o di pasti gratuiti consumati nelle mense pubbliche; addirittura nel 65% delle famiglie italiane si è registrata una diminuzione della spesa dedicata a beni essenziali di sussistenza quali, appunto, il cibo.

Se la crisi è una grande opportunità, come affermano alcuni e in certi casi a ragione, è anche vero che le possibilità per pochi di arricchirsi sono dettate dalle decisioni di una politica sempre più al servizio dell’economia e meno al cittadino medio, che scivola così in una spirale di povertà dalla quale, almeno a livello di dignità, difficilmente potrà riprendersi in tempi brevi.