Il vecchio stereotipo del laureato in Lettere che si affaccia sfortunato al mondo del lavoro è ancora in voga? é proprio vero che l’ambito umanistico è poco spendibile o è un pregiudizio obsoleto e duro a morire?

Numerose ricerche rispondono ‘sì’ all’ultimo quesito e forniscono evidenze statistiche: chi possiede un titolo in materie umanistiche ha minori opportunità di trovare lavoro, che sia peraltro ben retribuito, rispetto a chi invece ha studiato discipline scientifiche.

Viviamo dunque in una società in cui tutto è passibile di mercificazione e ogni individuo è considerato soggetto attivo laddove lavora e produce ricchezza. Sebbene triste, la realtà dell’istruzione è questa, non molto dissimile dall’essere un ingranaggio della macchina Stato che procede per meccanica computazione dati.

A ben vedere, però, studiare assicura benefici allo Stato e nessuno sbocco professionale a chi intende intraprendere questa attività. Sì, perché studiare è un lavoro nel vero senso della parola e decidere quale facoltà universitaria scegliere rappresenta un momento cruciale: lo si può fare basandosi sulla passione per certe discipline più che per altre ma la maggior parte delle volte si ha soltanto una vaga idea di ciò che il mercato del lavoro riserva.

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Una ricerca condotta dal CEPS Centre for European Policy Studies conferma che esiste una diffusa convinzione secondo la quale una laurea in Medicina o Ingegneria sia più promettente/produttiva di una in Lettere o Filosofia. I dati riguardano anche il ritorno economico, ossia il valore medio tra costi e benefici economici ottenuti nei primi 5 anni dal conseguimento del titolo. Risulta che il valore medio del percorso scientifico è molto più alto e promettente rispetto a quello umanistico.

In aggiunta, gli esperti sostengono che le capacità pragmatiche abbiano un peso preponderante nel determinare il successo dei laureati nel mercato del lavoro. Difatti, in un momento storico in cui il numero degli immatricolati e, quindi dei laureati, cresce esponenzialmente, la scelta del corso si studi diventa sempre più decisiva- certo- sempre se si voglia continuare a studiare dopo le scuole superiori.

Si pensi che queste disuguaglianze si sono create, e sussistono tuttora, tra licei classici ed istituti tecnici e professionali. Oggigiorno, poi, si cerca di superare tale gap istituendo scuole sperimentali che promuovono una conoscenza basica in entrambi gli ambiti ivi presi in oggetto.

é opportuno riflettere su tutto ciò per un motivo fondamentale: esaminare il successo dei laureati in termine di occupazione, retribuzione e soddisfazione personale è utile a comprenderne/ prevederne il riverbero positivo sulla società più istruita. Pertanto, il CEPS sostiene che la presenza di laureati a rivestire alte cariche garantisce maggiori entrate al Tesoro e riduce criminalità e malattie, con conseguente risparmio per le casse dello Stato.

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Il XVI (ultimo) Rapporto AlmaLaurea vede, a 5 anni dalla data di conseguimento del titolo, un valore medio di rendimento molto simile per Economia e Lettere. Ciò dimostra che non esistono lauree inutili, anzi il loro valore è ridotto e limitato al calcolo in seno ad un’indagine statistica con parametri rigidi che non tengono conto dei benefici immateriali sulla società. Nello specifico, il Rapporto AlmaLaurea riporta:

Emerge che i laureati magistrali del gruppo umanistico-sociale hanno tempi di inserimento e realizzazione professionale più lunghi rispetto ai profili tecnico-scientifici. Questo dipende dai numerosi e diversi ambiti professionali: ad esempio, i laureati dei percorsi letterari hanno come sbocco naturale quello nell’insegnamento che ha note difficoltà di inserimento e valorizzazione. Poi ci sono i laureati del gruppo giuridico, che hanno tempi lunghi di specializzazione professionale post-laurea. E’ ovvio che con queste premesse è difficile riuscire a rilevare performance brillanti fin da subito, ad esempio rispetto a un ingegnere. Ma, nei primi cinque anni dal titolo si raggiunge un buon tasso di occupazione, e le iniziali differenze rispetto alle lauree tecnico-scientifiche si riducono.

Pertanto, chiedere ai ragazzi italiani di privilegiare le facoltà scientifiche piuttosto che quelle umanistico-sociali, al fine di spingere il progresso italiano, è inutile e controproducente. Se l’Umanesimo non paga, comunque il capitale più importante resta quello umano, costituito da menti libere capaci di produrre pensieri critici e democratici.

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Gli strenui sostenitori degli studi umanistici evidenziano l’importanza delle scienze purché siano accompagnate dal sapere umanistico che fornisce una visione globale dell’esistenza e della storia. Si ribadisce, dunque, che l’immaginazione è vitale specie quando la ragione latita.

Per di più che l’Italia, culla dell’Umanesimo, potrebbe vivere del suo unico ed ineguagliabile patrimonio artistico-letterario se si passasse ad attuare oneste politiche di gestione e si ragionasse in modo aperto e lungimirante.