In principio erano gli Stati Uniti. Dopo la vittoria nella mai combattuta Guerra Fredda, con la caduta del muro di Berlino e del comunismo, il mondo occidentale è stato investito da una svolta di stampo capitalista su modello statunitense, appunto. Negli ultimi anni siamo stati (e siamo ancora) subissati di immagini e notizie riguardanti l’imperialismo americano, mascherato come nella migliore delle tradizioni espansionistiche, quella antica romana, da portatore di pace, civiltà, democrazia: dopo l’attacco al cuore economico -e dunque all’anima- del Nuovo mondo nel 2001, gli Stati Uniti hanno attaccato senza pietà il regime talebano in Afghanistan e Iraq, deposto il dittatore Saddam Hussein e compiuto altri mille delitti di cui oggi, con le ondate migratorie, ci accorgiamo sempre più disperatamente.
Con i media e l’opinione pubblica tutti concentrati sugli effetti della guerra israelo-palestinese, delle primavere arabe e della nascita dello Stato Islamico, paradossalmente armato proprio da quegli Stati Uniti che insieme all’Arabia Saudita volevano rovesciare il regime di Assad in Siria -senza per altro riuscirci-, un protagonista da lungo tempo tenuto a bada torna periodicamente sotto le luci della ribalta: la Russia.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il paese ha avuto bisogno di molto tempo per riassestarsi, soprattutto da un punto di vista economico. Le popolazioni, martoriate dalla carestia che il mondo capitalista ha indirettamente imposto loro, si sono ritrovate a rimpiangere il comunismo; forse per questa ragione, i leader dell’attuale Federazione Russa non sono mai stati in aperto contrasto con il sistema che li ha preceduti.
Dopo Eltsin, infatti, il presidente eletto è risultato Vladimir Putin, ex membro dei servizi segreti, a cui è succeduto dopo otto anni Dimitri Medvedev -con Putin primo ministro-, in seguito a cui è tornato presidente Putin stesso. Durante questo periodo, che copre tutto il Terzo millennio, la Russia ha agito spesso nell’ombra, sia per tacciare gli oppositori politici -un esempio su tutti, l’omicidio di Anna Politkovskaja-, sia per promuovere la propria politica estera.
La crisi del gas
Con il monopolio dei giacimenti di gas, la Russia fornisce a un prezzo di favore energia all’Ucraina, e da qui al resto d’Europa; con il riconoscimento della Russia a livello di economia di mercato e con le vittorie politiche ucraine invise a Putin, si è attuato quello che molti riconoscono come uno stato di assedio, ossia la crisi del gas, continue tensioni sul prezzo della fornitura energetica all’Ucraina che, dato il clima invernale rigidissimo, non può contrattare.
In conseguenza di ciò, negli anni si sono succedute delle proteste culminate in Ucraina con l’Euromaidan, un raduno pro-europeista avvenuto a seguito del tentativo del governo di stringere rapporti più stretti con la Russia a discapito del Vecchio continente. Il presidente, deposto, riesce a fuggire e la Crimea decide di indire un referendum che termina con l’annessione alla Russia. Questo atto politico, non riconosciuto da USA e UE, scatena una guerra civile nell’Ucraina orientale che giunge persino all’abbattimento di un volo di linea, causato dal lancio di alcuni missili terra-aria di cui nessuno si è ancora dichiarato responsabile. Per questo, è molto facile adottare diversi punti di vista per leggere il fenomeno dell’annessione della Crimea al territorio russo; lo stesso accade con il bombardamento siriano.
La questione siriana
Il fenomeno della primavera araba in Siria è stato dettato da una grande difficoltà, dovuta alla presenza di una fortissima dittatura, quella di Bashar al-Assad. I ribelli, armati dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita -due Paesi con tradizioni politiche totalmente diverse, ma accomunate dal desiderio di espansionismo-, si sono impadroniti delle armi per rivolgerle contro il governo e contro i ribelli stessi, decretando l’esplosione del fenomeno dello Stato Islamico, che minaccia di diffondere la Jihad -intesa come attacco e non come difesa, a cui si ricollegherebbe il reale significato della parola, traducibile come “sforzo”- in tutto il mondo occidentale. Di fronte a un simile ostacolo e con la scusante di non essere belligeranti, gli USA hanno deciso di occuparsi della questione in un tempo successivo.
Nel frattempo, però, il Mediterraneo è divenuto una tomba a cielo aperto: migliaia di persone fuggono dai Paesi limitrofi e dalla Siria stessa per cercare una vita migliore, ricevendo in cambio muri, porte chiuse e tanto razzismo, spezzato solo dai momenti di crisi economica cui l’Europa cerca di riparare con questa nuova fonte di forza lavoro (si veda il mio articolo per RoosterGNN). Le soluzioni sono molteplici: mentre però la Russia decide di attaccare l’ISIS rinforzando il governo di Assad, gli USA sono favorevoli alla rimozione di entrambi gli organi di potere.
Ciò che appare chiaro -meno a chi si abbevera solo alla fonte dei media occidentali- è che le alternative in Siria sono solo due: o Assad o i jihadisti. La Russia sta agendo di conseguenza, gli Stati Uniti sperano che nasca una terza forza alternativa. Il fatto che sia l’ISIS sia il mondo occidentale siano contrari ad Assad non importa alla Russia, dal momento che senza quest’ultimo lo Stato Islamico avrebbe il potere e dunque potrebbe costituire una vera minaccia per l’Europa, senza distinzioni interne. Ecco perché le critiche Nato agli attacchi suonano come pura ipocrisia.
E allora, che cosa dedurre? Che Russia e Stati Uniti agiscano alternativamente nel bene e nel male ma sempre nel nome del proprio interesse? Probabilmente sì, e sicuramente a rimetterci sono sempre i civili, che possono ancora una volta testimoniare che la Guerra Fredda non si è mai veramente conclusa.