“La riforma del mercato del lavoro segnerà la storia dei prossimi anni”. Così il dicembre scorso Matteo Renzi iniziava la presentazione del suo nuovo Jobs Act, un insieme di otto decreti legislativi, approvati nel corso del 2015, che hanno profondamente cambiato alcuni aspetti del diritto del lavoro in Italia.
Fortemente voluto dallo stesso Renzi e figlio di un’idea nata quando ancora era capo del PD, il Jobs Act è stato definito come “L’idea che il Paese si rimetta in moto”.
Per fare ciò la riforma ha dovuto intervenire su molti aspetti del lavoro, ma i punti fondamentali sono quelli sui contratti di lavoro, i licenziamenti e gli ammortizzatori sociali.
La parte più corposa del Jobs Act dunque è quella riguardante i contratti di lavoro che riscrive la disciplina di contratti come il part-time, il lavoro a chiamata, il lavoro intermittente e l’apprendistato abrogando due interi decreti e numerosi altri articoli, dando alcune indicazioni precise ma lasciando aperte molte possibilità di deroga ai contratti collettivi nazionali.
Queste modifiche, progettate in base ad una maggiore flessibilità, vanno ad intaccare i cosiddetti “contratti minori” di cui buona parte dei lavoratori italiani, in maggior parte precari, fanno parte.
Per i licenziamenti è stata introdotto un indennizzo economico crescente con l’anzianità del servizio, mossa atta a tutelare soprattutto i giovani che si introducono nel mondo del lavoro. Mentre per chi perde il posto di lavoro il programma stabilisce l’obbligo di frequentare corsi di formazione e di accettare i lavori che gli saranno offerti in futuro.
“Se perdi il posto di lavoro non sei più un ingranaggio del sistema burocratico, sei una persona con il diritto di essere preso in carico dalle istituzioni”
Gli effetti a breve termine della riforma sembrano essere positivi e i dati INPS danno ragione al Presidente del Consiglio e parlano di un aumento del 36% dei contratti a tempo indeterminato nei primi sei mesi, mentre restano stabili i contratti a tempo determinato e addirittura diminuiscono quelli di apprendistato. Per non cadere in facili entusiasmi questi dati vanno letti insieme all’ultima rilevazione Istat che riporta un leggera crescita di nuovi contratti ma soprattutto rileva una stabilizzazione dei contratti precari.
Tuttavia la decisione di mettere mano alla legge sui contratti di lavoro ha fatto torcere il naso a molti ed ha scaturito una marea di critiche.
Secondo le organizzazioni dei lavoratori infatti il continuo cambiamento del posto di lavoro non sarebbe direttamente proporzionale alla diminuzione della disoccupazione, anzi, trasformerebbe i lavoratori in numeri privandoli così dei loro diritti fondamentali.
A rincarare la dose, Vincenzo Martino, vicepresidente degli Avvocati Giuslavoristi Italiani, afferma che “La parte debole, cioè il lavoratore, diventa inerme di fronte all’impresa. Nelle assunzioni, nei licenziamenti, con il demansionamento, con i controlli a distanza” criticando così le modifiche apportate all’Articolo 18, il famoso Statuto dei Lavoratori.
L’impatto di una così importante riforma del lavoro non può e non deve essere valutato solo alla luce dei dati emersi nei primi mesi ma bisognerà attendere ancora per vedere gli effetti della tanto sperata ripresa.Su una cosa siamo certi, il risultato del Jobs Act, insieme alla recente riforma costituzionale sul Senato, si consoliderà nelle idee della gente come “cosa ha fatto Matteo Renzi” e segnerà non solo il suo futuro, ma soprattutto quello dell’Italia intera, come ha ammesso lo stesso Presidente del Consiglio.