Essere giovani in Italia nel 2015 non è affatto facile. Nonostante sia proprio l’articolo 1 della nostra costituzione a recitare: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, è proprio quest’ultimo a far sentire la sua mancanza, specialmente nel mondo degli under 30.
E se chiamarla giungla dovesse sembrare esagerato, vero è che trovare lavoro in Italia attraverso i canali standard può essere una forma di stress non indifferente. Un disagio che viene sanato solo quando una miracolosa chiamata si palesa sul proprio telefono: giusto seguito al famoso e quanto mai inflazionato: “Le faremo sapere”.
E se non si tratta della collezione del precedente ritornello, si tratta di un collage di silenzi ottenuti dopo estenuanti giornate passate a fare la cosiddetta “ricerca attiva del lavoro”. Vale a dire stilare una lista delle aziende che operano nel proprio settore, informarsi a proposito delle peculiarità delle stesse, adattare ad hoc il proprio curriculum e la propria lettera di rappresentazione e allenare il dito a cliccare su “Invia”.
Silenzi e risposte fotocopia non sono le uniche beghe nelle quali incappa il giovale, dal profilo di tutto punto: under 30, pluri – laureato con votazioni eccelse, a casa con i genitori alla ricerca disperata di un motivo per continuare a non trasferirsi all’estero. Soluzione scelta solo nel 2014, secondo Il Sole 24 Ore, da oltre 25 mila giovani.
Terribile risvolto della disoccupazione è il volontariato. Non si parla quello fatto per sentimento o perché si sposa una causa, ma quello esplicitamente richiesto dalle aziende, le quali, se non hanno retribuzione da offrire, possono sempre convincere il giovane giocandosi la carta del “comunque è esperienza” e fanno scopa con “fa curriculum”.
Insomma la carta vincente per tanti che scelgono un motivo per svegliarsi la mattina al continuare una ricerca ormai diventata “passiva” del lavoro.
E il volontariato sarà pure il settebello del datore di lavoro, ma altro non fa che incartare il sistema italiano, dove ad abbassarsi non è solo il Pil della nazione ma anche la qualità del prodotto, manuale o intellettuale che sia (della serie: “Se lo devo fare gratis, perché impegnarmi?).
A subire maggiormente la crisi sono proprio i laureati, sempre più impegnati nell’allungare i tempi di coronamento degli studi in vista della deprimente vita da giovane in cerca di prima occupazione.
Secondo la XVII Indagine sulla condizione occupazionale dei Laureati stilata come ogni anno da Almalaurea, nel 2014 si è vista una pallida ripresa: la quota di occupati nelle professioni ad elevata specializzazione (professioni, tipicamente, positivamente correlate all’attività di investimento, di innovazione e di internazionalizzazione delle imprese), passata dal 16,9% del 2012 al 17,4% del 2013, con un distacco che, tuttavia, resta di circa sette punti percentuali rispetto alla media europea (pari al 24,2%).
E se roseo si era previsto questo 2015 per l’occupazione italiana, si allarga anche la rosa di possibilità di aggirare la disoccupazione.
Al giorno d’oggi, infatti, il lavoro non si ottiene: si crea e si inventa. E non è strano aspettarselo da un popolo come quello italiano che vanta una storia d’invenzioni e di nuovi approcci ai problemi.
Il motivo sarà da attribuire alle ore passate a fare ricerche sul web, se uno dei mestieri più in voga è il cosiddetto “digital worker”, ossia colui che è riuscito a crearsi una professione grazie ad internet: parliamo ad esempio di blogger, esperti Seo, eccetera.
Così come in aumento sono anche i “consulenti”, coloro che offrono la propria conoscenza, frutto di ore sui libri, al servizio della comunità.
Torna di moda l’artigianato, figlio del fai-da-te riuscito particolarmente bene. E immancabile il richiamo alle origini: non c’è niente di meglio che avere il proprio appezzamento di terra e mettersi a produrre il cibo “alla vecchia maniera”.
Ma una novità interessante è rappresentata da quella fetta di lavoratori che operano nel sociale. Spuntano come fiori a maggio i Life Coaching, i Parent Coaching, gli Healt Coaching e couaching dicendo. Saranno stati ispirati dagli effetti che la ricerca del lavoro ha avuto su loro stessi?
Insomma se la soluzione alla crisi e alla mancanza di lavoro non dovesse arrivare dai piani alti, ricerchiamola nel nostro buon sangue che non mente: siamo o non siamo della stessa nazionalità di Leonardo da Vinci?