Vi spiego, sebbene preveda voi non saprete vedere alcunché svolgersi, cosa accade pressoché necessariamente, oramai, nell’età del silicio, della santificazione del capitale, della mercificazione del produttore di beni. Non mi importa un fico secco di riesumare la salma di Marx, uno a caso, viceversa preferisco prendere il coltello della ragione analitica ed adoperarlo per tagliare, con approssimazione, una fetta di mondo industrializzato. Ora che ho la mia sezione posso, addirittura, trovata l’angolatura esatta, indossare le lenti di chi guarda dal punto del punto di vista dell’eternità, ovvero, voglio intendere, di chi non è emozionalmente, spazialmente e temporalmente, coinvolto in ciò che osserva; di chi non intende cambiare un mondo che, del resto è com’è. Insomma, per dirla in soldoni, non mi importa granché di ciò che accade ma del “come esso possa accadere”. Lo sguardo si rivolge oltre la finestra: piove. Nulla che trascenda ciò che potremmo attenderci accada ma, e qui signori miei logica e politica si stringono in un gelido abbraccio, non piove per tutti. Per meglio chiarire, direi che la fenomenologia in questione non è intesa esser correlabile alle attività di ogni essere secondo una grammatica perspicua. Piove, dicevamo, e mentre l’acqua vien giù violenta e senza discriminazioni, mi corre per la mente un pensiero. Come mai benché la natura sia impietosa e giusta, generosa seppur incurante dei nostri progetti, austera ed estranea quanto, perlomeno, nostra parente dal volto velato, l’uomo si arroga il diritto di stabilire i “dove” e i “quando” essa debba colpire con mano pesante e viceversa? Evidentemente i parametri utilizzati non sono quelli suggeriti dalla intuitiva coordinazione tra un ente complesso – come l’uomo ineluttabilmente è – ed il suo mondo, appunto la natura. Prendiamo un caso tra altri, uno stato di cose assai comune all’interno del paradigma tecnologico che regola e da forma tangibile alle nostre prassi: la, cosiddetta allerta meteo. Premesso che le manipolazioni del clima sono divenute argomento discusso – ma non per questo conosciuto, non sia mai – e sostanziato da autorevoli fonti scientifiche il sottoscritto di domanda:
“Come mai l’allerta meteo è allertante per alcune categorie d’esseri umani e non per altre?”
Si direbbe che il bene da proteggere – dalla violenza naturale – non sia affatto il diritto alla vita dell’essere umano ma ciò che l’essere umano produce assecondando la propria finalità suprema. ovvero quella di produrre beni materiali distruttibili, anzi necessariamente destinati ad annichilirsi a ridursi al nulla. Insomma, lo Stato nella propria tentacolare opera amministrativa si è erto a giudice ed ha stabilito una speciale sintassi ad hoc, la quale grammatica di regole manifesta enorme preoccupazione per la conservazione del processo produttivo – si badi bene: esso è inarrestabile pena cataclismi assiologici neppure quantificabili approssimativamente – e nello stesso momento infinito zelo per le sedi istituzionalmente chiamate a elargire perle di conoscenza e saggezza al corpo studenti, ovunque. Dunque, sintetizzando: da un lato abbiamo, invertendo l’ordine dei termini, la ragionevole solerzia nel tutelare il regno della teoresi, ovvero gli istituti d’istruzione d’ogni ordine e grado; d’altra parte abbiamo visto profondersi l’impegno logico, cognitivo ed etico delle medesime amministrazioni affinché la produzione e l’acquisto di beni – che abbiamo detto essere destinati ad annichilirsi, a divenire “nulla” affinché tanta nullità venga saturata previo acquisto di una merce a sua volta destinata a scomparire – venga garantito, condizioni meteorologiche a parte. Allora, stante, in conclusione, il forte senso d’umanità che innerva le deliberazioni morali delle giunte comunali mi compiaccio di tanta ricchezza concettuale. Non fosse che, improvvisamente, dico “di punto in bianco”, ricordo che le merci non si auto-producono piuttosto di auto-usurano e auto-distruggono. Mi domando allora se per caso le vite di un operaio, di un commerciante, di un operatore aeroportuale, di un consulente, evidentemente messe a rischio dalla già menzionata “allerta meteo”, non siano state forse spogliate del proprio inestimabile, autentico, connaturato valore. Valore del resto puntualmente riconosciuto pragmaticamente alla vita degli studenti, a quella degli amministrativi dipendenti del Ministero della pubblica istruzione nonché a professori e docenti. Siamo davanti ad un terremoto assiologico: la nozione d’umanità, osservando la fetta di vita da me asportata ad inizio scritto, è affatto una creazione artificiale, tecnica e funzionale all’umanizzazione delle cose. Ciò che è allarmante, assai più d’una presumibilmente sopravvalutata allerta meteo, consta nell’ammorbamento della soggettiva doverosa volontà di vigilare sul come e sul perché facciamo nostri, relegandoli nel nostro sfondo di credenze, costruzioni sillogistiche inquinate da virus al cui confronto quello dell’HIV è il segnale d’un mero starnuto d’allergico ai pollini in primavera.